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Cardinal Martini, il biblista che si era scordato il Vangelo

Carlo Maria Martini

Aveva il complesso di inferiorità verso i laici. Così cercava l'applauso del mondo, e l'ha trovato

Andrea Tempestini
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  di Antonio Socci Vedendo il mare di sperticati elogi ed esaltazioni sbracate del cardinale Martini sui giornali di ieri, mi è venuto in mente il discorso della Montagna dove Gesù ammonì i suoi così:  «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Luca 6,24-26). I veri discepoli di Gesù infatti sono segno di contraddizione: «Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo (…) il mondo vi odia. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 16, 18-20).   Poi Gesù indicò ai suoi discepoli questa beatitudine: «Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli» (Luca 6,20-23). Una cosa è certa, Martini è sempre stato portato in trionfo sui mass media di tutto il mondo, da decenni, e incensato specialmente su quelli più anticattolici e più ostili a Gesù Cristo e alla sua Chiesa. Che vorrà dire? Obiettate che non dipendeva dalla sua volontà? Ma i fatti dicono che Martini ha sempre cercato l'applauso del mondo, ha sempre carezzato il Potere (quello della mentalità dominante) per il verso del pelo, quello delle mode ideologiche dei giornali laicisti, ottenendo applausi ed encomi. È stato un ospite assiduo e onorato dei salotti mediatici fino ai suoi ultimi giorni. O vi risulta che abbia rifiutato l'esaltazione strumentale dei media che per anni lo hanno acclamato come l'Antipapa, come il contraltare di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI? A me non risulta. Eppure avrebbe potuto farlo con parole ferme e chiare come fece don Lorenzo Milani quando la stampa progressista e la sinistra intellettuale e politica diceva: «è dei nostri». Lui rispondeva indignato: «Ma che dei vostri! Io sono un prete e basta!». Quando cercavano di usarlo contro la Chiesa, lui ribatteva a brutto muso: «in che cosa la penso come voi? Ma in che cosa?», «questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L'assoluzione dei peccati non me la dà mica L'Espresso. E la comunione e la Messa me la danno loro? Devono rendersi conto che loro non sono nella condizione di poter giudicare e criticare queste cose. Non sono qualificati per dare giudizi». E ancora: «Io ci ho messo 22 anni per uscire dalla classe sociale che scrive e legge L'Espresso e Il Mondo. Devono snobbarmi, dire che sono ingenuo e demagogo, non onorarmi come uno di loro. Perché di loro non sono», «l'unica cosa che importa è Dio, l'unico compito dell'uomo è stare ad adorare Dio, tutto il resto è sudiciume». Queste meravigliose parole di don Milani, avremmo voluto ascoltare dal cardinale, ma non le abbiamo mai sentite. Mai. Invece ne abbiamo sentite altre che hanno sconcertato e confuso noi semplici cattolici. Parole in cui egli faceva il controcanto puntuale all'insegnamento dei Papi e della Chiesa. Tanto che ieri Repubblica si è potuta permettere di osannarlo così: «non aveva mai condannato l'eutanasia», «dal dialogo con l'Islam al sì al preservativo». Tutto quello che le mode ideologiche imponevano trovava Martini dialogante e possibilista: «non è male che due persone, anche omosessuali, abbiano una stabilità e che lo Stato li favorisca», aveva detto. È del tutto legittimo – per chiunque - professare queste idee. Ma per un cardinale di Santa Romana Chiesa? Non c'è una contraddizione clamorosa? Cosa imporrebbe la lealtà? Quando un cardinale afferma: «sarai felice di essere cattolico, e altrettanto felice che l'altro sia evangelico o musulmano» non proclama l'equivalenza di tutte le religioni? Chi ricorda qualche vibrante pronunciamento di Martini che contraddiceva le idee “politically correct”? O chi ricorda un'ardente denuncia in difesa dei cristiani perseguitati?  Io non li ricordo. Preferiva chiacchierare con Scalfari e – sottolinea costui – «non ha mai fatto nulla per convertirmi». Lo credo. Infatti Scalfari era entusiasta di sentirsi così assecondato nelle sue fisime filosofiche.  Nella seconda lettera a Timoteo, san Paolo – ingiungendo al discepolo di predicare la sana dottrina – profetizza: «Verranno giorni, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità, per volgersi alle favole» (Tm 4, 3-4). Nella sua ultima intervista, critica con la Chiesa, Martini si è chiesto dove sono «uomini che ardono», persone «che hanno fede come il centurione, entusiaste come Giovanni Battista, che osano il nuovo come Paolo, che sono fedeli come Maria di Magdala?». Evidentemente non ne vede fra i suoi adepti, ma nella Chiesa ce ne sono tantissimi. Peccato che lui li abbia tanto combattuti, in qualche caso perfino portandoli davanti al suo Tribunale ecclesiastico. Sì, questa è la tolleranza dei tolleranti.  Martini ha incredibilmente firmato la prefazione a un libro di Vito Mancuso che – scrive “Civiltà cattolica” - arriva «a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica». Ma il cardinale incurante definì questo libro una «penetrazione coraggiosa» e si augurò che venisse «letto e meditato da tante persone» (del resto Mancuso definisce Martini «il mio padre spirituale»). Dunque demolire i dogmi della fede non faceva insorgere Martini. Ma quando due giornalisti – in difesa della Chiesa – hanno criticato certi intellettuali cattoprogressisti, sono stati da Martini convocati davanti alla sua Inquisizione milanese e richiesti di abiura. Che paradosso. L'unico caso, dopo il Concilio, di deferimento di laici cattolici all'Inquisizione per semplici tesi storiografiche porta la firma del cardinale progressista. «Il cardinale del dialogo», come lo hanno chiamato Corriere e Repubblica.  I giornali sono ammirati per le sue massime. Devo confessare che io le trovo terribilmente banali. Per esempio: «emerge il bisogno di lotta e impegno, senza lasciarci prendere dal disfattismo». Sembra Napolitano. Grazie al cielo nella Chiesa ci sono tanti veri maestri di spiritualità e amore a Cristo. L'altro ritornello dei media è sull'erudizione biblica di Martini. Senz'altro vera. Ma a volte il buon Dio mostra un certo umorismo. E proprio venerdì, il giorno del trapasso di Martini, la liturgia proponeva una Parola di Dio che sembra la demolizione dell'erudizione e della “Cattedra dei non credenti” voluta da Martini, dove pontificavano Cacciari e altri geni simili. Scriveva dunque san Paolo che Cristo lo aveva mandato «ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: “Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'intelligenza degli intelligenti”. Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dov'è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché… è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione… Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1, 17-25). E il Vangelo era quello delle dieci vergini, dove Gesù – ribaltando i criteri mondani – proclama “sagge” quelle che hanno conservato la fede fino alla fine e “stolte” quelle che l'hanno perduta. Spero che il cardinale abbia conservato la fede fino alla fine. Le esaltazioni di Scalfari, Dario Fo, Il Manifesto, Cacciari gli sono inutili davanti al Giudice dell'universo (se non saranno aggravanti). Io, come insegna la Chiesa, farò dire delle messe e prenderò l'indulgenza perché il Signore abbia misericordia di lui. È la sola pietà di cui tutti noi peccatori abbiamo veramente bisogno. È il vero amore. Tutto il resto è vanità.  

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