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Come resistere a Equitalia:ecco i sette consigli

La guerra è impari, ma combattere gli ingiusti accertamenti dello Stato è possibile. La guida per ottenere risparmi, rinvii e annullamenti

Andrea Tempestini
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Resistere al fisco si può. Basta conoscere gli strumenti che la legge mette a disposizione. Perché l'Agenzia delle Entrate non è infallibile, così come la Guardia di Finanza o Equitalia. Lo Stato sa bene che la mannaia lanciata su grandi aziende, piccoli imprenditori e privati nell'offensiva senza precedenti lanciata per combattere l'enorme evasione, su cui l'Italia vanta un triste primato, miete vittime innocenti. E non poche. Gli ultimi dati disponibili riferiti al 2010 - la nostra pubblica amministrazione non brilla, tra le altre cose, per tempestività nel rilascio delle statistiche - riferiscono che i contenziosi esaminati dalle Commissioni tributarie provinciali risultano favorevoli ai contribuenti nel 48 per cento  dei casi (percentuale che sale al 50 per cento  per le Commissioni regionali) mentre solo nel 39 per cento  delle liti la vittoria va all'amministrazione fiscale. Così il contribuente messo al muro dal Fisco può, anzi, in moltissimi casi viene costretto ad opporre le sue motivazioni. Che, come dicono le statistiche, in molti casi risultano corrette e vincenti.  La guerra  però è profondamente iniqua. Il Parlamento ha permesso che lo Stato attacchi il cittadino con armi impari. Un carro armato contro una fionda. Solo l'indipendenza della giustizia può tentare di riequilibrare le cose. Tanto per cominciare il Fisco, prima di sedersi a un tavolo e ascoltare ciò che il contribuente ha da dire, pretende il pagamento delle maggiori imposte accertate, le sanzioni, gli interessi e la percentuale di Equitalia per il servizio da mastino reso.  Se poi dovesse aver ragione il contribuente, lo Stato restituirà il maltolto, ma con i tempi della giustizia che conosciamo. Applicando le statistiche del 2010 si può dire che  l'amministrazione finanziaria è stata costretta a restituire 10 miliardi di euro ai contribuenti per imposte accertate e incassate in anticipo che non erano dovute.  È chiaro a tutti cosa significa per un cittadino o per una ditta tirare fuori dal portafoglio un bel po' di quattrini da aggiungere  alle tasse che ha già pagato, distraendoli, nella migliore dell'ipotesi, alle altre spese a cui erano destinati. Vederseli restituire, in caso di vittoria, anni dopo è solo una magra consolazione.  Libero ha chiesto allo studio “Pirola Pennuto Zei & Associati”, tra i più importanti studi di consulenza tributaria e legale in Italia, di elencarci le principali armi di lotta che un contribuente può opporre all'amministrazione fiscale nel caso in cui stesse subendo un'ingiusto accertamento. Ecco quali sono. INTERPELLO In via preventiva il contribuente può utilizzare lo strumento dell'«interpello dell'amministrazione finanziaria» disciplinato dalla Legge 413/91. L'interpello consiste nel rappresentare all'amministrazione fiscale, in via preventiva rispetto alla realizzazione, le operazioni che il contribuente intende compiere e realizzarle solo dopo che l'amministrazione fiscale ha dato il suo parere. Purtroppo c'è un eccessivo lasso di tempo che intercorre fra la richiesta di interpello e la risposta dell'amministrazione finanziaria potendo trascorre fino a 120/180 giorni fra la richiesta e la risposta,  il che, in una economia che si muove a ritmi vertiginosi, non è certamente accettabile. Negli altri Paesi evoluti le forme di interpello, più propriamente chiamate «ruling», consentono veramente di instaurare un proficuo rapporto con l'amministrazione fiscale con l'intento di privilegiare non tanto «l'incremento delle basi imponibili» quanto la certezza dei rapporti fra due parti che sono sullo stesso piano, fisco e contribuenti. AUTOTUTELA Prima ancora di instaurare il ricorso avverso un avviso di accertamento è possibile ricorrere alla cosiddetta «autotutela». Si tratta di una attività in sede amministrativa con la quale il contribuente può chiedere alla stessa amministrazione finanziaria di annullare o revocare un atto ritenuto illegittimo o infondato. È  uno strumento da utilizzare sempre in quanto l'amministrazione finanziaria è obbligata a rispondere ed in mancanza di risposta ciò può essere considerato come violazione del principio di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione sanciti dall'articolo  97 della Costituzione.  ACCERTAMENTO CON ADESIONE  L'adesione è un accordo fra contribuente e fisco sulle voci dell'accertamento che, se concluso, porta ad un significativo risparmio delle sanzioni amministrative tributarie in quanto queste sono ridotte ad un terzo del minimo previsto dalle legge.  È  un istituto che avrebbe potuto portare risultati migliori di quelli raggiunti, sia per il fisco che per i contribuenti se non fosse che troppo spesso in sede di accertamento le violazioni amministrative sono esageratamente sopravvalutate da parte dell'amministrazione fiscale, sperando così di raggiungere il gettito prefissato invogliando il contribuente a negoziare con l'amministrazione fiscale ottenendo una sensibile riduzione delle sanzioni.  Parente stretto dell'accertamento con adesione è l'adesione al «Processo Verbale di constatazione PVC» che  funziona allo stesso modo e interessa una fase precedente l'emissione dell'avviso di accertamento: in tale caso la riduzione delle sanzioni è raddoppiata rispetto all'accertamento con adesione.  Tutte le attività sopra descritte, ad eccezione dell'interpello preventivo, devono essere esperite in un arco temporale che va dai 60 a 150 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento.  MEDIAZIONE TRIBUTARIA  Il tentativo di mediazione è possibile soltanto per gli atti emessi dall'Agenzia delle Entrate (e quindi, ad esempio, non è possibile utilizzare l'istituto per gli atti emessi da Equitalia). Si tratta di un istituto obbligatorio, pena l'inammissibilità del ricorso. Il problema sta nel fatto che il «mediatore» è la stessa Agenzia delle Entrate (sia pure con un ufficio diverso) che ha emesso l'atto di accertamento.  Pare quindi un filtro per tentare di evitare il contenzioso (dove come abbiamo visto l'amministrazione finanziaria perde nella metà dei casi), piuttosto che un vero tentativo di risolvere, fuori dalle aule giudiziarie, le controversie con i cittadini.  A fronte di una considerevole riduzione delle sanzioni (pari al 60 per cento) occorre rilevare che, in caso di soccombenza nel giudizio che si instaura qualora non si raggiunga l'accordo di mediazione, oltre alle spese di giudizio, la parte soccombente verrà chiamata a pagare una somma aggiuntiva pari al 50 per cento  delle medesime spese di giudizio a titolo di rimborso spese del procedimento. CONTENZIOSO TRIBUTARIO  Da ultimo, ma non in ordine di importanza visti gli esiti dei giudizi tributari, qualora non abbiano dato risultati positivi gli altri strumenti indicati, non resta che il contenzioso tributario. È una via che, purtroppo, non sospende la riscossione delle imposte o delle maggiori imposte dovute anche se il versamento richiesto, in caso di contenzioso, non può eccedere un terzo delle maggiori imposte accertate.  Dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale le somme iscritte a ruolo e da versare sono pari ai due terzi di quanto deciso dalla Commissione Tributaria, previa detrazione di quanto già versato in precedenza, ma in questo caso sono anticipate anche le sanzioni e  gli interessi. Dopo la sentenza della Commissione Tributaria Regionale (e quindi prima del giudizio definitivo della Corte di Cassazione) occorrerà pagare tutto l'importo accertato (comprensivo di sanzioni e interessi, sempre ovviamente al netto di quanto già corrisposto) ovvero deciso dalla Commissione Tributaria Regionale.  Occorre segnalare che i tempi mediamente registrati per definire l'iter del contenzioso tributario coprono un arco temporale di circa 823 giorni per ottenere un giudizio dalla Commissione Tributaria Provinciale a cui si aggiungono altri 617 giorni per ottenere il giudizio della Commissione Tributaria Regionale, per un totale di 1.440 giorni. In questo conteggio sono esclusi i tempi richiesti per il giudizio di Cassazione. Nel frattempo maturano interessi a favore dello Stato. PUNTUALIZZAZIONI Sulle somme dovute dai cittadini contribuenti o dall'Amministrazione Finanziaria maturano ovviamente degli interessi a favore dell'una o dell'altra parte a seconda delle diverse situazioni. Anche in questo caso le posizioni non sono su un piano di parità. Infatti mentre all'amministrazione fiscale spettano tassi di interesse del 4,55 per cento  annuo per  interessi di mora per il ritardato pagamento, quelli che spettano al contribuente non eccedono l'1 per cento  semestrale. Occorre notare, infine, che sulle somme iscritte nei ruoli spettano aggi nella misura del 9 per cento  a favore di Equitalia che il decreto sulla spending review ha ridotto, per la verità in misura irrisoria, all'8 per cento  a partire dal 1 gennaio 2013.  MISURE CAUTELARI E RATEIZZAZIONI Il contribuente può chiedere la sospensione della riscossione, sia in sede giudiziaria, (in caso di ricorso alle Commissioni tributarie) che in sede amministrativa (all'amministrazione finanziaria) qualora la riscossione anticipata (rispetto al giudizio di condanna) possa causargli un danno grave e irreparabile dal pagamento di quanto richiesto con l'accertamento. Infine, è sempre possibile chiedere a Equitalia, in caso di situazione di obiettiva difficoltà del contribuente, la ripartizione delle somme iscritte a ruolo fino a 72 rate mensili, ovviamente con maturazione di interessi nella misura del 4,5 per cento  annuo per la dilazione eventualmente concessa. di Antonio Spampinato

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