Allarme Gelmini: "L'Italia non si salva se non ripartiamo dal Nord"
L'ex ministro dell'Istruzione: "La crisi morde più il settentrione che altrove. Basta tosare le imprese, ora via l'Irap"
di Paolo Emilio Russo Il lavoro è già iniziato, in largo anticipo sulla campagna elettorale. I coordinamenti regionali Pdl di Lombardia, Veneto e Piemonte stanno elaborando strategie per «riconquistare il Nord», hanno ripreso ad analizzare dossier con titoli evocativi come «impresa», «partite Iva», «tasse». Perché, come spiega l'ex ministro dell'Istruzione e prima ancora coordinatore lombardo di Forza Italia, Mariastella Gelmini, «c'è molto da fare al Nord». Anche stavolta, nonostante gli annunci del governo, le tasse non accennano a diminuire. E il Nord... «Mi verrebbe da dire: non c'è ripresa senza impresa. Non c'è impresa senza Nord. Non c'è Italia senza Nord. Questo è il punto». Il tema delle tasse e quello delle imprese torneranno al centro della campagna elettorale? «Certo dobbiamo battere il partito delle tasse, che guarda alla produzione di ricchezza come ad una colpa, una pecora da tosare, e così ostacola l'impresa e alimenta pregiudizi contro il motore italiano». Forza Italia nacque così, no? Poi il Pdl sembra avere smarrito questa impostazione pro-aziende, pro-lavoro. «Il Pdl non si occupa solo di legge elettorale, non insegue strategie centriste, ma difende la cultura di impresa». A Taranto un magistrato ha messo i sigilli ad una fabbrica, contro il parere degli operai e degli amministratori di sinistra. «L'imprenditore non deve essere visto come colui che inquina, che spesso non paga le tasse. Al contrario come colui che crea benessere, occupazione e ricchezza, che rischia in proprio». Pare che Berlusconi voglia tornare a parlare di impresa. Un ritorno al passato? «Berlusconi è un grande capitano di impresa. È stato lui a portare la mentalità imprenditoriale tipica del Nord in politica, da lui verrà il nuovo che l'impresa attende». Corrado Passera dice che bisogna abbassare le tasse, Elsa Fornero, che le ha alzate, sostiene sia necessario ridurre il cuneo fiscale. «Al governo diciamo: ancora troppo poco per l'impresa. Che cosa ha fatto lo Stato per le imprese? Sul piano fiscale, regolatorio, giuridico le ha forse messe nelle condizioni di poter crescere ed essere competitive?». Che fareste se Berlusconi tornasse a Palazzo Chigi? «L'impresa va liberata da lacci e lacciuoli e messa nelle condizioni di competere con gli altri Paesi europei. La rete delle imprese ha tenuto fin qui in piedi l'Italia, nonostante una mole enorme di adempimenti e tasse. Ora è il momento e rendere i nostri cittadini, di fronte ai servizi, uguali ai cittadini francesi, belgi, tedeschi, inglesi...». Le bollette energetiche italiane sono le più alte d'Europa, la benzina idem. Dura parlare d'impresa... «Le nostre imprese pagano il carburante più che altrove, aspettano le decisioni dei pubblici poteri senza quei tempi certi che consentono alla concorrenza globale di partire metri davanti a noi nella corsa. Tutto questo deve continuare ad essere normale?». Siete stati al governo 3 anni, però. È una ammissione di fallimento? «Nei 3 anni non siamo stati con le mani in mano, anzi. Pensi alla detassazione dei salari di produttività, al federalismo fiscale, alla riforma della pubblica amministrazione e dell'università. Altra questione è che i governi promuovono cambiamenti, riforme, semplificazioni, i cittadini si illudono, mentre i burocrati mettono bastoni tra le ruote. E ciò accade perché non scattano sanzioni per le amministrazioni inadempienti». Non sarà soltanto colpa dei burocrati, però. «Basta leggere i documenti per esempio di Confapi, zeppi di richieste al governo perché iniziative annunciate esistano davvero! Qualche esempio? Lo sportello unico doganale istituito nel novembre 2010 da attivarsi entro 180 giorni: mai nato. In compenso sono state decuplicate le sanzioni nei confronti delle irregolarità doganali commesse in buona fede. È la fotografia perfetta di uno Stato che disattende le decisioni dei governi e si vendica nei confronti del cittadino. È una vergogna». Fino ad oggi a dare voce al Nord e alle sue categorie produttive ci si era messa la Lega... Le strade col Pdl si sono divise: lancia la competizione interna? «Impresa vuol dire Nord. Il Nord è il territorio delle Pmi, delle partite Iva, di commercianti, artigiani e professionisti. Vincerà le elezioni chi saprà farsi interprete di queste istanze, certo dentro una visione nazionale. La Lega ha avuto il merito di porre per prima la questione Settentrionale, ma è Berlusconi che ha portato la mentalità imprenditoriale del Nord in politica». Roberto Formigoni ha lanciato l'idea della «macroregione» Nord. «Un'ottima idea, che stiamo anticipando con un lavoro più stretto dei coordinamenti Pdl di Lombardia, Veneto e Piemonte. Con la macroregione si avrebbe più efficienza e maggiore risparmio». Il Nord è il nuovo Sud: la crisi sta picchiando duro a settentrione... «È evidente che la crisi morda più al Nord che altrove; lo dicono i dati dei fallimenti, dal numero delle imprese che chiudono. La politica è chiamata a dare risposte che vadano oltre la difesa delle Province o delle municipalizzate». Nell'ultimo consiglio dei ministri si è parlato di Nord: giudica sufficiente il lavoro del governo? «Il Consiglio dei ministri era stato preceduto dall'annuncio da parte di alcuni ministri del dimezzamento del cuneo fiscale e dell'esenzione dall'Iva per le infrastrutture. A questi annunci, però, non sono seguiti provvedimenti. Il governo ha aperto dossier su energia, infrastrutture e semplificazioni: attendiamo i fatti». Il Pdl ha sempre fatto il pieno di voti nelle Regioni meridionali. Non parlerete più di Sud? «Dal Nord dipende la capacità del Paese di reggere. Anche il Sud ne trae beneficio». Il Pdl resta partito di maggioranza in Parlamento, al voto mancano almeno 8 mesi. Ritiene possibile fare qualcosa subito col governo? «Alcune scelte del governo hanno visto il Pdl in prima linea: penso all'Iva per cassa sotto ai due milioni di euro, alla battaglia sulla compensazione fra debiti e crediti. La prossima nostra proposta dovrebbe riguardare l'Irap, ma anche la detassazione degli incentivi per i premi di produttività e l'estensione dell'applicazione del contratto aziendale già prevista da Maurizio Sacconi». È possibile togliere l'Irap? «L'Irap è una aberrazione, un controsenso: tassa il costo del lavoro come fosse un reddito. In questo modo un'impresa è obbligata a pagarla anche se non ha utili». A proposito di scuola, il suo successore all'Istruzione ha annunciato con grande enfasi un concorso, il primo dopo 13 anni. È giusto? «È un atto positivo a patto che non crei illusioni e aspettative rispetto ad una pianta organica che resta immutata. I conti dello Stato non consentono nuove assunzioni oltre a quelle già decise. Spero non penalizzi i giovani e non crei nuovo precariato».