Fare subito la riforma elettoraleO comanderà sempre Napolitano
Ecco come il Colle può gestire il passaggio da questo governo al successivo: commissariano la politica
di Davide Giacalone Ci sono un dogma e un mito, che inducono in errore. Il dogma recita: il primo atto della prossima legislatura sarà l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Il mito suggerisce: se non si vota subito, a ottobre, si vota alla scadenza naturale, nell'aprile 2013. Il dogma discende dal mito, dato che votando ad aprile il Parlamento eletto si riunirà quando scade la presidenza di Giorgio Napolitano, dovendo sostituirlo. Invece le cose si mettono in modo diverso, cercando di far continuare il commissariamento della politica (che se lo merita), facendo sponda su presunti ambienti internazionali e mercati, che sarebbero allarmati per cose che gli italiani stessi trovano di scarso interesse, e puntando a far sì che il passaggio dall'attuale al governo successivo sia gestito dal medesimo uomo del Colle. Funziona così. Le elezioni immediate sono «paventate», «rischiose», «azzardate», roba da incoscienti, insomma, se a ragionarne sono quanti ritengono che il voto popolare abbia ancora un qualche rilievo, circa la costituzione dei governi e l'orientamento dei legislatori. Già il solo parlarne, in questa chiave, allarma i mercati, che subito provvedono a bastonarci perché rei di avere messo in dubbio la continuità, tendenzialmente eterna, del governo Monti. Ma se, invece, quelle stesse elezioni vengono lette come possibile anticipazione di uno scontro inutile, talché si passi poi a riconsegnare le chiavi d'Italia all'attuale esecutivo (magari dopo la sostituzione di morti e feriti, numerosi in quelle fila), allora non solo si può parlarne, ma ci viene anche detto che i mercati gradiscono, si rilassano, ci guardano con bonomia. Ah conoscerli, ‘sti strani mercati! Sulla strada delle elezioni immediate, però, c'è un ostacolo: nessuno ha cambiato il sistema elettorale. Anche questa è un'ipocrisia: l'attuale va bene a molti e va bene al Partito democratico, che conterebbe di portare a casa la maggioranza assoluta degli eletti alla Camera dei deputati, ma non solo non si può dirlo, si deve anche dire, ribadire e accoratamente sostenere il contrario, in ragione di anni passati a propagandare banalità. Si aggiunga che anche il Colle ha lanciato un appello per la riforma, giungendo ad affermare che si può anche farla a maggioranza (dopo anni passati ad invocare le riforme «condivise»). Sicché si può votare con il porcellum per disperazione, non per vocazione. Quando scatta la disperazione? A primavera. A quel punto è ovvio che non c'è tempo. A primavera, però, scatta anche il dogma. E allora? Allora è bene ricordare che, nel 1991, su sollecitazione di Francesco Cossiga, fu modificato l'articolo 88 della Costituzione, cancellando il «semestre bianco» (nel caso in cui coincida con gli ultimi sei mesi della legislatura, esattamente il nostro caso). Quindi Napolitano potrebbe sciogliere a gennaio, si andrebbe a votare a marzo e si farebbe il primo governo alla fine di quel mese o ai primi di aprile, con lui medesimo assiso al Colle. A quel punto o qualcuno vince alla grande le elezioni, portando a casa la maggioranza, possibilmente coesa, sia alla Camera che al Senato, o il presidente sarebbe ancora nelle condizioni di fare l'arbitro unico, capace di nominare un commissario. Dacché ne ha scritto un osservatore attento e prudente, con un orecchio e un ventricolo al Colle, Stefano Folli, mi pare non solo che quella sia la strada, ma che è caduto anche il velo sotto cui si celava. È inaccettabile? Lo sarebbe se i partiti della maggioranza avessero assolto al loro compito, da noi indicato già a novembre: il governo si dedica al pronto soccorso finanziario, mentre il Parlamento vara la riforma del sistema elettorale e la mette in coerenza con un nuovo ordito costituzionale, stipulando un patto che va oltre questo mozzicone di legislatura. Non sono stati capaci. Non sono più capaci di nulla. Si rimirano, immobili, sperando di vedersi ancora il giorno appresso. Ricordate il grande Petrolini, quando si rivolse verso la piccionaia, dove uno spettatore disturbava? «Non ce l'ho co' te, ma co' chi te sta accanto e nun te butta de sotto». Ecco, i partitocrati dell'impotenza l'hanno trovato, quello che li butta di sotto (che oramai fa politica anche con i necrologi). Se hanno da obiettare si sbrighino, altrimenti s'accuccino. www.davidegiacalone.it