Come salvare i nostri risparmi portando i soldi all'estero
di Claudio Antonelli Con il suo solito buon senso e tempismo l'altro giorno il segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, ha dichiarato che è arrivato il momento di dire ad alta voce che «chi porta il proprio denaro fuori dall'Italia è un traditore e poco di buono». Ribadendo quel concetto tipico di autarchia che ha reso famoso un altro statista italiano del secolo scorso. A parte le dialettiche politiche, è necessario,oggi più che mai, ribadire che chi ha guadagnato lecitamente i propri denari non deve rispondere a nessuna legge di come ha intenzione di spenderli, dove vuole investirli e in che banche. Soprattutto può portarli all'estero, purchè li denunci nel quadro RW della dichiarazione dei redditi. Tanto più se l'operazione scaturisce dalla paura di perderli. Paura dettata dall'attuale situazione europea e dalla sensazione che nessuna politica attuata in Italia sia in grado di stoppare un'eventuale escalation modello Grecia. Proprio perché nessuno è in grado di dire cosa succederà nei prossimi mesi, prosegue inarrestabile la fuga dei capitali verso il Nord Europa, la Svizzera e l'Asia. BANKITALIA La chiave di volta di una notizia che tiene banco da mesi trova conferma ufficiale in un passaggio del Bollettino della Banca d'Italia, là dove si sottolinea la fuoriuscita dai conti correnti italiani. Si tratta di una cifra che,a partire dall'inizio della crisi fino a marzo scorso, avrebbe toccato i 274 miliardi di euro. Ai quali si aggiungerebbero altri 23 miliardi di euro solo nel mese di giugno. Insomma l'euro non sarà in discussione, ma i flussi di denaro lasciano intuire che se il collasso dovesse essere totale non c'è possibilità di salvezza. Ecco perché molti ricchi hanno già pensato a ricreare posizioni e portafogli all'estero principalmente in dollari e sterline. Molti private banker milanesi consigliano/impongono ai loro clienti già da un anno di liberarsi dai titoli italiani e spezzettare gli investimenti con obbligazioni in giro per il mondo. Il tutto senza prendere alcun aereo. Si può aprire conti correnti all'estero, magari in Svizzera, e affidare i propri investimenti a mani esperte che cercheranno di rendere il rischio crac euro meno impattante sul portafoglio in gestione. Dichiarandolo al Fisco, per un italiano è possibile anche utilizzare banche straniere con sedi in Italia e passare dall'euro ad altre monete. O via internet gestire un conto magari in Inghilterra. Certo ci sono dei costi maggiori. In primis legati ai commercialisti. La dichiarazione non è così semplice anche perché si paga il 20% per ogni singola plusvalenza realizzata sui conti stranieri. A ciò si aggiunge una patrimoniale ad hoc dell'uno per cento. A quanto risulta a Libero i portafogli milanesi superiori ai 5 milioni di euro per il 95% sono già migrati all'estero. Il dubbio si pone per chi ha 200mila o 300 mila euro da parte. Dovrà scegliere investimenti ottimali, altrimenti tra tasse aggiuntive e costi dei commercialisti si rischia di erodere pure il capitale. Certo se va tutto a patatrac ne sarà valsa la pena. I capitali ovviamente se ne vanno anche per pagare meno tasse . Il caso Hollande, sebbene recente, è già da manuale. Da quando il politico francese ha promesso di alzare le imposte al 75% sui redditi sopra il milione, le famiglie storiche dell'industria hanno preso fisicamente il volo verso Londra e la Svizzera. L'altro giorno il magazine elvetico Bilan ha pubblicato l'elenco delle 44 famiglie francesi che ora risiedono in Svizzera. Ennesima conferma che la politica di ipertassazione fa l'opposto di ciò che si prefigge. E concorre ad alimentare l'elusione e l'evasione fiscale. L'EVASIONE Dei 270 miliardi di euro italiani fuori usciti dalle banche non è ancora dato sapere quanti siano bianchi e quanti neri. Quello che è certo è che evadere o eludere il Fisco è sempre più difficile e costoso. Ma mai impossibile. Sarebbero infatti pari a 21 mila miliardi di dollari i beni finanziari posseduti in paradisi fiscali. L'analisi di James Henry per TaxJusticeNetworkrileva che, a fine 2010, le principali 50 banche nel mondo gestivano in totale oltre 12,1 mila miliardi di dollari di asset, mentre nel 2005 la cifra era pari a 5,4. Secondo lo studio le tre banche private con i più opulenti conti off shore sarebbero Ubs, Credit Suisse e Goldman Sachs. Ovviamente Stati Uniti, Gran Bretagna sono i due Paesi che, contrariamente alle dichiarazioni pubbliche, ancor più della Svizzera favoriscono i conti offshore. Una filosofia completamente diversa dalla nostra. Meno gettito e più Pil. L'Inghilterra consente alle proprie aziende di aver sede nelle isole del canale, veri e propri paradisi fiscali. In cambio quel denaro viene dirottato verso la City, la principale industria del Regno. Per quanto riguarda gli Usa, una delle componenti del sistema offshore è una piccola rete satellite di territori esteri. Le Isole Marshall, un'ex colonia giapponese sotto il controllo americano dal 1947, sono oggi legateagli Stati Uniti da un patto di libera associazione. Sono principalmente una “bandiera di comodo” che, come ha osservato recentemente The Economist, è «molto apprezzata dagli armatori per il suo blando regime di regolamentazione». La Svizzera, che di fatto ha trovato un accordo con l'America che non danneggi gli affari di quest'ultima, si muove nei vari meandri. Così l'italiano che vuole usare banche elvetiche d'appoggio può utilizzare diverse strade. La prima, la più lenta prevede l'uso degli spalloni. E anche commissioni che vanno dal 2% fino al dieci. Poi si possono costituire società fittizie intestate a fiduciarie del posto e creare un giro farlocco di fatturazioni. Ma visto l'occhio della Gdf è sempre più rischioso. Oppure si può creare una società in una nazione comunitaria come Malta o l'Irlanda che è detentrice di un brevetto che l'azienda italiana sfrutta e quindi versa sul conto estero i denari che poi transitano in Svizzera. O c'è il sistema dello svuotamento delle società. Quella svizzera viene capitalizzata legalmente, poi intesse un affare con una azienda delle Cayman. Quest'ultima fallisce e i soldi spariscono. In realtà tornano in Svizzera al “legittimo” proprietario tramite un veicolo detenuto da una Fiduciaria. Da ottobre sarà tutto più complicato. Per aprire un conto oltre le Alpi bisognerà dichiarare il beneficiario vero. E addirittura – se ne sta discutendo per il trattato con l'Italia – certificare che quei soldi sono noti all'Agenzia delle Entrate. Ovviamente fatta la legge c'è già la gabola.