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L'Ingegnere difende il made in Italy ma è stato il primo a fregarsene

Eliana Giusto
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  Ieri l'ingegner Carlo De Benedetti ha lanciato un accorato appello in favore dell'industria italiana. Lamentando la fuga degli imprenditori dal nostro Paese e la dismissione di alcuni gioielli di famiglia del capitalismo nostrano. E denunciando quella che lui chiama «una rinuncia preventiva a qualunque forma di politica industriale». Un j'accuse nei confronti dei governi, «come se, dopo gli anni dell'industria di Stato, ora si vergognassero di intervenire nel settore industriale». Parole condivisibili, quelle dell'Ingegnere. In certi passaggi sacrosante. A cui però si possono contrapporre due obiezioni. La prima è l'enorme quantità di denaro che lo Stato ha elargito alle grandi industrie nostrane in crisi, in primis proprio la Fiat. Non solo il tempo degli aiuti di Stato alle imprese può dirsi definitivamente archiviato, ma anche l'intrusione della politica nel mondo imprenditoriale, visti i danni fatti nel passato, è da considerarsi concluso. La seconda è che proprio l'Ingegnere ha contribuito, in certi momenti della sua vita imprenditoriale, alla dismissione di aziende o alla loro cessione a capitali stranieri. Quindi, di fronte alle parole di ieri, verrebbe da dire “da che pulpito arriva la predica”.  Leggi l'articolo completo di Gianluca Roselli su Libero in edicola oggi, 25 luglio 2012  

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