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L'accusatore di Tortora in cellanell'operazione "Portobello"

Le testimonianze di Melluso costarono al conduttore una condanna a 10 anni di carcere per associazione mafiosa

Leonardo Diana
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  Torna in galera il grande accusatore di Enzo Tortora. L'ex pentito di camorra Gianni Melluso, conosciuto all'anagrafe del clan col soprannome di "Gianni il bello", era rientrato nel giro del crimine dalla porta di servizio con la gestione di un night club a luci rosse a Sciacca, in provincia di Agrigento. Operazione Portobello - L'inchiesta, avviata nell'aprile scorso, si ricollega alla storia processuale di Melluso, uno dei primi collaboratori di giustizia che decise di abbandonare le armate cutoliane per raccontare ai magistrati segreti e misfatti del padrino immortalato da Fabrizio De Andrè nella canzone don Raffaè. I carabinieri sono riusciti a identificare altri cinque complici di Melluso, tra questi anche la sua compagna, che lo affiancavano nella gestione del club Happy night – disco pub di Contrada San Marco. Nel menù del locale non c'erano però panini e bibite, ma prostitute e trans. Le donne, provenienti quasi tutte dell'est Europa e del Sudamerica, pagavano circa 420 euro a settimana per il fitto di una stanza e riuscivano a incassare circa 1000 euro al giorno. Il reclutamento - Molte delle ragazze che si prostituivano nel night club venivano reclutate dall'organizzazione attraverso annunci sui siti di "escort in tour" e sui quotidiani locali. Quelle che non potevano essere sistemate nel disco pub, venivano dirottate verso Menfi, dove il gruppo poteva contare su due appartamenti trasformati, all'occorrenza, in vere e proprie case di tolleranza. L'uomo che ha rovinato Enzo Tortora - I primissimi accusatori di Enzo Tortora furono gli ex camorristi Giovanni Pandico e Pasquale Barra e in seguito si unì anche Melluso che raccontò ai magistrati partenopei di aver ceduto al giornalista dosi di cocaina procurategli dall'allora padrino della malavita milanese Francis Turatello. Questa e le altre contestazioni a suo carico, emerse nei verbali dei pentiti della Nco, costarono a Tortora una condanna in primo grado a 10 anni di carcere per associazione per delinquere di stampo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti. Una sentenza che fece gridare allo scandalo.  Il pentimento - Il 13 giugno 1987, a distanza di 4 anni dalle storiche foto che ritraevano il conduttore di Portobello con le manette ai polsi, affiancato da due carabinieri, la Cassazione confermò l'assoluzione emessa dalla Corte d'appello di Napoli e demolì il castello di bugie costruito con i verbali degli ex tagliagole di camorra. Nel 1995, Melluso chiese scusa alla famiglia di Tortora, morto di cancro nel 1988, ammettendo in un'intervista: «Ho fatto male a un uomo innocente e sento il dovere di restituire dignità alla sua memoria. Quando mi trovavo davanti Tortora nei confronti, quando lo vedevo invecchiato e malato, ne avevo pena. Ma cosa potevo fare? Ero inchiodato a un maledetto copione che dovevo recitare».  

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