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Ci sono troppi Sangalli nel nostro pollaio fiscale

Giampaolo Pansa

Chi grida alle troppe tasse dovrebbe anche prendersela con gli evasori. Specie se ha fatto il politico per 30 anni...

Andrea Tempestini
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  Ci sono parole che oggi spaventano: spread, contagio, patrimoniale, euro a picco. E altre che fanno imbufalire. Una di queste è la parola evasione, evasore fiscale. Parlo per me, naturalmente. In questo scenario di tragedia imminente, quando la stessa sorte dell'Italia sembra in pericolo, chi persiste nel non pagare le tasse mi dà un fastidio furibondo che prima d'ora non avevo mai provato. E insieme all'evasore impunito, parecchio fastidio me lo dà un signore che si chiama Carlo Sangalli.  Qualche lettore del Bestiario  si domanderà chi sia mai costui. La risposta è semplice: siamo in presenza di uno dei potenti d'Italia, poiché il Sangalli in questione presiede la Confcommercio, la prima delle associazioni fra i commercianti. Giovedì scorso l'abbiamo ancora visto nel telegiornali, mentre guidava una convention del suo club. Convocata per illustrare una ricerca della Confcommercio rivolta a spiegarci l'acqua calda. Ovvero che in Italia si pagano troppe tasse e la pressione del fisco è diventata insopportabile, una delle più feroci al mondo.   L'ESPERTO Sangalli è un vero esperto della questione. Ce lo fa pensare il suo curriculum che non tutti conoscono. Prima di arrivare al vertice della Confcommercio è stato eletto per ben sette volte alla Camera dei deputati. Fate attenzione alle date. La sua prima vittoria, con relativo ingresso a Montecitorio, è del 1968. Dopo di allora una sfilza di rielezioni: nel 1972, nel 1976, nel 1979, nel 1983,  nel 1987 e nel 1992, ultima legislatura della Prima repubblica.  Siamo di fronte a un esemplare perfetto della Casta partitica. Ben sistemato nella parrocchia democristiana. Il Sangalli è cresciuto nel ventre della Balena bianca. Inossidabile e quasi sempre fedele al suo capo corrente. Che è stato soprattutto uno: Giulio Andreotti.  Intervistato da Vittorio Zincone per «Sette», il Carlo, detto Carluccio, un giorno spiegò: «Andreotti è una gran persona. Al mio primo intervento congressuale, che si tenne in seduta notturna, in pratica c'era solo lui ad ascoltarmi». Il Mandarino restò talmente impressionato dalla facondia del Sangalli che in uno dei suoi tanti governi, il terzo, lo volle con sé, come sottosegretario al Turismo e allo spettacolo.  Carluccio tradì Giulio in un solo caso. Quando appoggiò Arnaldo Forlani nella corsa alla segreteria del partito, mentre la corrente andreottiana sosteneva Benigno Zaccagnini. Fu allora che ricevette la visita di Franco Evangelisti, l'uomo-ombra del Mandarino. Non era tipo da farla troppo lunga. Ringhiò a Sangalli: «La prossima volta che otterrai un incarico di governo, io sarò Papa». Le date che ho appena elencato ci dicono che Carluccio è stato un padre della Patria in anni cruciali per le finanze della Repubblica. Immagino che contasse come il due di picche, ma fu uno dei tanti sventati che votarono, anno dopo anno, la crescita sciagurata del debito pubblico, una montagna perversa che oggi ci soffoca.  Si sarà anche battuto per sconfiggere l'evasione fiscale? Forse sì, forse no. Il Bestiario propende per il no. Ma sarebbe interessante ascoltare da Sangalli quali siano stati gli interventi operosi compiuti da lui per mettere alle strette chi non paga le tasse.  CARLUCCIO 7 POLTRONE Pur essendo stato per ben sette volte un deputato democristiano, Carluccio non aveva mai smesso di occuparsi dei commercianti, dal momento che era uno di loro. Anche in quel settore mostrò un grande dinamismo. Nel 2006, quando si stava già nella Seconda repubblica, il presidente della Confcommercio, Sergio Billè, incappò in un guaio giudiziario e si dimise.  Sangalli prese subito il suo posto e da quel momento non ha mai lasciato la poltrona. Nel 2010 l'ha riavuta per acclamazione e se la terrà stretta sino al 2015. Del resto ci fa piacere ricordare che Carluccio, nato nel 1937 a Porlezza, in provincia di Como, è un signore che alla fine di agosto compirà appena 75 anni. E per sua fortuna ne dimostra dieci di meno.  Dove il Sangalli dà prova di una sventatezza anche più giovanile è a proposito dell'evasione fiscale dei commercianti. Il Bestiario sa bene che i mancati pagatori di tasse non sono soltanto loro. Tuttavia quasi ogni giorno le cronache ci raccontano di incursioni della Guardia di finanza che si concludono con la scoperta che un sacco di negozi non fanno le ricevute obbligatorie.   Abbiamo mai sentito dal Sangalli delle strigliate contro i suoi associati che frodano il fisco e, insieme, i concittadini che pagano le tasse sino all'ultimo euro? Il Bestiario mai. Anzi, in archivio ho trovato soltanto dichiarazioni del Carluccio volte a negare che gli evasori si annidino soprattutto fra i negozianti. Un presidente inossidabile nel rifiutare la realtà: «Questa è una leggenda! Veniamo martellati ingiustamente. Tutti assolvono i lavoratori dipendenti, senza tener conto che molti di loro fanno un secondo lavoro in nero».  Una replica senza pudore, questa del Sangalli. Eppure lui sa meglio di tanti altri che senza la sconfitta dell'evasione fiscale l'Italia non riuscirà ad evitare il baratro che l'aspetta. Il giorno che dovesse mai caderci dentro, tutto sparirà. Anche la Confcommercio e il marmoreo presidente. Non sentiremo più parlare del Carluccio, dei suoi associati, delle strategie per mettere al riparo i negozianti evasori e sfuggire all'imperativo etico di far pagare le tasse anche a loro.  Per non apparire un nemico dei commercianti, voglio ricordare di essere cresciuto anch'io in un negozio: quello di mia madre Giovanna. Con una grande dedizione al lavoro, iniziato all'età di dieci anni da piccinina in una pellicceria, era riuscita ad aprire nel centro della nostra città una modisteria. La chiamava così Irene Brin, la grande giornalista che ci ha lasciato un ritratto perfetto dell'Italia anni Quaranta e Cinquanta.   LE TASSE DI MIA MADRE Mi sono sempre domandato quante tasse pagava mia madre. Ma in quel tempo il fisco italiano non era l'ammalato grave di oggi. Eppure i mezzi per guarirlo adesso ci sono. Ne ho scritto spesso su «Libero». I lettori che mi seguono sanno che prediligo i sistemi duri. Dalla pubblicazione su Internet di tutte le dichiarazioni dei redditi, utile per gli opportuni confronti tra un contribuente e l'altro. Sino alle manette per gli evasori.  Gli Stati Uniti mettono in galera molti contribuenti infedeli. E quando il direttore di una prigione li mostra a un gruppo di visitatori, spiega la reclusione con una formula semplice e terribile: «Hanno mentito al popolo americano».  Ecco un principio che, purtroppo, non abbiamo importato da quella grande democrazia. In Italia più di un partito politico e non poche associazioni professionali tifano per l'evasione o incitano a non pagare le tasse, a cominciare dall'Imu. E arrivano a insultare il governo dei tecnici che tenta di arginare il disastro, per sottrarre il paese al contagio che può venire da economie più fragili della nostra. Mi ha fatto ribrezzo il titolaccio della «Padania» di ieri, sabato 21 luglio. Chiamava il premier «Monti l'untore». Deve aver ragione il vecchio Umberto Bossi. È stato lui a dire che nella Lega «i cani che abbaiano» sono davvero molti. di Giampaolo Pansa  

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