La Sicilia muore di malaffare e lui che fa? Dà la caccia a Berlusconi e Marina
Il pm conduce indagini metagiudiziarie a sfondo storico-politico e si muove "creando" dei reati anziché perseguire quelli esistenti
Silvio Berlusconi annuncia il suo ritorno in campo e con precisione scientifica riparte l'assedio giudiziario. Questa volta a tirarlo in ballo è la Procura di Palermo che, si è appreso, lo aveva convocato per lunedì 16 luglio nell'ambito della trattativa tra Stato e mafia che sta tenendo banco in queste ultime settimane per le intercettazioni di Giorgio Napolitano. Il Cavaliere, però, si è negato alle toghe spiegando che era impegnato nella riunione con un gruppo di economisti a villa Gernetto. Il pm Ingroia ha poi cofermato la notizia della convocazione. Berlusconi però si è negato, e così è scattata la controffensiva delle toghe: ecco spuntare la notizia che Marcello Dell'Utri, il senatore del Pdl, è indagato a Palermo, nella medesima indagine, per estorsione ai danni del Cavaliere. Un escamotage per trascinare in Sicilia Berlusconi. E non solo lui. Già, perché l'assedio è ripartito in grande stile, e Ingroia ha convocato nell'isola anche Marina Berlusconi, la figlia e presidente di Fininvest, in veste di parte offesa nell'ambito dell'indagine a carico di Dell'Utri. E Ingroia che fa? - La situazione viene inquadrata da Berlusconi, che con i suoi si è sfogato: "E' ripartito il circo giudiziario. Che strana coincidenza: appena annuncio l'intenzione di presentarmi alle elezioni, ecco che riparte la caccia all'uomo. Le toghe - ha concluso il suo sfogo - vogliono svergognarmi prima del voto". Difficile dargli torto. Eppure la Sicilia avrebbe cose più concrete a cui dedicarsi, rispetto a quest'inchiesta che fino ad oggi ha portato a poco. La Sicilia è allo sbando. Mario Monti lo ha detto chiaro e tondo: "Sta fallendo. Il governatore Lombardo si deve dimettere subito". L'isola - tra sprechi, super stipendi, auto e telefoni gratis, clientelarismo e malaffare - è sull'orlo della bancarotta. Una sorta di California "made in Italy", con la differenza che il Pil dell'isola non è nemmeno comparabile a quello dello stato Usa. Ed è proprio in questo contesto scivoloso, esplosivo, disperato, che il pm Antonio Ingroia sceglie di volgere lo sguardo da un'altra parte. No, lui non guarda i problemi tragici che affliggono la Sicilia. No, lui guarda ovviamente a Silvio Berlusconi. Nella regione simbolo del clientelarismo, degli sprechi e della corruzione, il signor Ingroia che fa? Pensa bene di convocare Berlusconi, di accanirsi sul Cavaliere, piuttosto che concentrarsi su un paziente - la Regione sicilia - che probabilmente non potrebbe nemmeno essere salvato con un accanimento terapeutico. Facci, il ritratto di Ingroia - Ma chi è, il pm Ingroia? Ce lo spiega Filippo Facci, su Libero in edicola oggi. "In Italia tengono banco due cose che non esistono: la prima è la lettera della Legge e la seconda è la famigerata inchiesta sulla «trattativa». Entrambe sono un problema ventennale. Anzitutto a non esistere è la legge, perché esiste solo l'interpretazione che singoli magistrati decidono di darle; esiste, cioè, solo il perfetto rovesciamento delle velleità originarie del legislatore sino a quando non se ne investa la Corte Costituzionale. È la regola aurea. Ora tocca alle intercettazioni: ma l'iniziativa del Capo dello Stato, che ha evocato la Consulta, è soltanto l'acme di un percorso iniziato nel 1989, quando al Nuovo Codice di procedura penale fu affiancata una controlegislazione operata dall'alto", spiega Facci. E un perfetto esempio delle "interpretazioni" che danno i singoli magistrati alle leggi arriva proprio da Ingroia, titolare della trattativa Stato-Mafia. Facci spiega che Ingroia non è altro che il nuovo Luigi De Magistris: ha la stessa tecnica, ma è più furbo. La toga infatti conduce indagini metagiudiziarie a sfondo storico-politico. E si muove "creando" dei reati anziché perseguire quelli esistenti. L'ultimo capitolo del suo romanzo? La convocazione di Silvio Berlusconi come teste della trattativa Stato-mafia (il Cav, però, da Ingroia non ci è andato). Leggi il commento di Filippo Facci su Libero in edicola oggi, mercoledì 18 luglio