Fa l'erede di Monti ma i suoi lo sconfessano: ecco a voi l'europeista immaginario
Pier Luigi vuole proseguire l'opera del premier, ma i "compagni" si oppongono alle richieste europee
di Marco Gorra La strategia della campagna elettorale del Partito democratico è bella e delineata. Per i prossimi nove mesi il tasto su cui Pier Luigi Bersani e compagnia batteranno sarà il seguente: il redivivo Silvio Berlusconi è il flagello dei mercati e l'incubo dello spread, mentre è invece il Pd e solo il Pd ad avere le carte in regola per portare avanti il nuovo corso montiano serio e affidabile. L'operazione è già cominciata, sia sul versante domestico (da ultimo con le dichiarazioni di Bersani all'assemblea di ieri) che su quello internazionale (si veda la recente intervista del segretario al Financial Times per accreditare il Pd come partito «responsabile» ed erede del governo dei professori), ed ha tutta l'aria di essere destinata a durare per un bel pezzo. SOTTO IL LODEN, NIENTE L'operazione, però, è anche manifestamente insincera perché tende a dare un'immagine del Pd completamente speculare alla realtà. Che è quella di un partito abissalmente lontano - culturalmente ancor prima che politicamente - da qualsiasi idea facente parte del bagaglio liberal-montiano cui sostengono di ispirarsi. È persino normale che un partito di sinistra dotato di potente cinghia di trasmissione col principale sindacato italiano abbia una visione del mondo diversa da quella dei tecnocrati continentali. Ed è proprio per questo che le dichiarazioni d'intenti di cui sopra suonano così posticce. Per capire quanto artefatta risulti la rivendicazione di continuità Monti-Pd, d'altronde, basta vedere come il partito di Bersani si è comportato nei confronti dei provvedimenti-chiave varati da Monti: tutti votati a naso più o meno chiuso (e ci mancherebbe), ma per il resto una raffica di critiche, distinguo, annacquamenti, compromessi al ribasso. Se i provvedimenti del governo in materia di riforma del lavoro, spending review, riforma delle pensioni e Imu sono venuti fuori così distanti dall'impostazione montiana che avevano in origine, è stato soprattutto grazie agli sforzi profusi dal Partito democratico per attutirne l'impatto. Il cuore del problema, però, più che il già fatto è il da fare. Perché se a questo mondo esiste una certezza, questa è che chi dovrà governare l'Italia nel 2013 sarà pressoché obbligato a farlo con un programma quantomeno profondamente ispirato alle linee guida dell'Unione europea: l'uscita dalla crisi è questione lunga e complicata, ed è chiaro a tutti che chiudere la parentesi montiana e rimettersi a fare politica more solito non è un'opzione. LETTERA MORTA I punti salienti di questa sorta di programma obbligato sono quelli contenuti nella famosa lettera della Bce recapitata l'estate scorsa al governo Berlusconi a cui Monti non facesse in tempo a mettere mano di qui alla fine del proprio mandato. Allo stato, restano inevase parecchie richieste dell'Eurotower: tra di esse, liberalizzazione dei servizi pubblici locali e degli ordini professionali, riforma della contrattazione salariale collettiva, clausola di riduzione automatica del deficit, controllo dell'indebitamento e delle spese degli enti locali, riforma dell'amministrazione pubblica con abolizione delle Province. Tutti temi parecchio sensibili per un partito come il Pd. Specie se si tratta di un Pd che deve stare attentissimo - visti il numero e la ferocia dei competitor d'area - a scoprirsi a sinistra il meno possibile. E pensare che un partito in una condizione simile possa fare le riforme montiane chieste dall'Europa sfidando i veti del sindacato e degli enti locali oppure andando a mettere le mani nelle tasche della propria constituency (vedi alla voce pubblico impiego) risulta fatalmente irrealistico. Vero che quando si avvicinano le urne vale tutto e che per le bugie da campagna elettorale esiste una apposita dispensa, però così è troppo. Anche perché la differenza tra idea e azione è tanto clamorosa da rischiare di trasformarsi in boomerang. I più attenti nel Pdl (tipo il vicecapogruppo Osvaldo Napoli che tira in ballo la «doppiezza togliattiana» di Bersani) se ne sono già accorti ed hanno iniziato a lucidare la contraerea. E i baroni rossi del Nazareno, nonostante abbiano provato a camuffarsi buttandosi addosso un loden, rischiano di finire abbattuti.