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Il pressing della moglie per convincere Bossi a candidarsi a sorpresa

Manuela Marrone ha tentato Umberto per sfidare Bobo, ma senza successo Oggi il fondatore parlerà all'inizio dei lavori, come le seconde linee

Eliana Giusto
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Non s'è fatto vedere. Umberto Bossi ha snobbato il primo giorno del congresso leghista ad Assago, Milano. I fedelissimi speravano di avvistarlo prima delle 11, perché confidavano potesse candidarsi contro Roberto Maroni con un colpo di teatro che sarebbe stato clamoroso. Nulla di tutto questo. Il fondatore è rimasto a casa, stremato dalla trasferta svizzera dell'altro giorno. Oggi, programma alla mano, è atteso di buon mattino. Verso le 10 pronuncerà il suo intervento. Orario infelice, che di solito viene riservato alle seconde linee. Il Senatur è pronto a incassare la qualifica di presidente federale, che occupa da quando ha mollato la tolda di comando per gli scandali dei rimborsi elettorali. Chi ha parlato col fondatore in questi giorni, lo descrive preoccupato dal clima infuocato in cui si celebra l'assise. Umberto ha dato il via libera alla candidatura di Bobo, ma in cuor suo non intende lasciargli carta bianca. L'ex ministro delle Riforme è convinto di essere lui e solo lui il garante dell'unità dei lumbard. E in questi ragionamenti ha il suo bel peso anche la famiglia. A Gemonio, sussurrano le linguacce, la moglie Manuela Marrone è inferocita per la piega che hanno preso gli avvenimenti. E sarebbe stata la signora a insistere (inutilmente) per chiedergli di sfidare l'ex ministro dell'Interno. In tutto questo, i bossiani più integralisti continuano a buttare benzina e dicono peste e corna di Bobo, facendo crescere la diffidenza del Senatur. Ieri Bossi non ha fatto colpi di teatro, anche perché ha accettato un patto scritto con Maroni. Un accordo che prevede, tra le altre cose, generiche rassicurazioni economiche che permettono all'Umberto di dormire sonni tranquilli. In più, il nuovo statuto che sarà votato oggi lo cita espressamente, riservandogli un posto blindato all'interno del partito. Ma un conto sono le etichette, e Bossi ha già detto che quelle non gli servono, un altro i reali poteri. E la verità dei numeri è cruda. Il fondatore non ha più il partito in mano. Negli ultimi mesi parecchi dirigenti l'hanno apertamente messo in discussione. In prima linea c'è chi, come Flavio Tosi, è l'unico a vantare scintillanti risultati elettorali alle ultime amministrative. Ieri, quando il sindaco parlava dal palco, alcuni bossiani hanno abbandonato la sala per marcare la distanza. Anche il potere concesso a Bossi nel nuovo statuto, ovvero l'ultima parola sulle espulsioni, rischia di essere disinnescato dall'iniziezione di maroniani nel comitato che lo affiancherà nelle scelte. Il progetto è ritagliargli spazi sempre minori. Oltre ai numeri, il Senatur ha un altro problema. Forse anche per la stanchezza figlia del fisico acciaccato, fatica a sintonizzarsi con gli umori del suo popolo. L'altro giorno è andato in Svizzera per siglare la nascita dell'euroregione alpina. Un accordo che aveva spacciato come «novità sensazionale per il Nord», però sopra il Po si parla di tasse e pensioni. Non di altro. Ieri Bossi non s'è fatto vedere anche perché stanco dalla missione elvetica, dove aveva incontrato pure Roberto Formigoni. Si racconta che il Senatur, nelle ultime ore, sia stato tentato da telefonare a Silvio Berlusconi, con cui è ancora legato da un solido rapporto di amicizia. Oggi cala il sipario sulla monarchia assoluta di re Bossi, che ha governato la Lega fin dalla sua fondazione. Stamattina il vecchio leone proverà ancora a ruggire? di Matteo Pandini

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