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Salviamo il premier dalla Balcania

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Dopo i successi europei, per il presidente del Consiglio troverà in Italia i soliti problemi. I tre partiti che lo sostengono sono in preda a un caos da ex Jugoslavia. Ma se vanno a pezzi l'Italia finisce in mano a Grillo

Eliana Giusto
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Basta con questa Balcania! Urlava così mia nonna Caterina quando noi ragazzi, fratelli, sorelle e cugini, si cominciava a litigare, rischiando di arrivare alle botte. Ma da dove nasceva un'immagine che oggi non si usa più? Caterina era analfabeta, aveva cominciato a lavorare a nove anni, da terza serva bambina in una casa di benestanti della Bassa vercellese. Il suo mondo era la fine dell'Ottocento, quando i Balcani, poi diventati la Jugoslavia, erano già un territorio straziato da guerre a non finire e sfornava cadaveri a gogò.   La Balcania indicava una condizione di rissa continua, incapace di trovare un momento d'accordo e di tregua. I partiti italiani di oggi sono esattamente così. Vivono in uno stato permanente di guerra interna. Messi alle strette dalla sfiducia crescente degli elettori, sanno rispondere soltanto con i litigi, le incertezze, le illusioni, le gaffe. Pensano che sia l'unico mezzo per tirare a campare. Senza rendersi conto che in questo modo affrettano soltanto il momento di tirare le cuoia.  Se osserviamo il versante di centrodestra che cosa si scorge? Prima di tutto un fantasma, l'ombra di un morto che cammina. È  il povero Silvio Berlusconi, un potente ormai tramontato che tuttavia non ha smesso di credere nella propria risurrezione. Ecco il primo degli illusi. Il Cavaliere è convinto di essere il solo in grado di rimettere in vita un partito quasi scomparso, di rifare l'alleanza con la Lega e di ritornare a vincere la prossima sfida elettorale.  Tutto gli dà torto. In Mediaset comandano i figli più grandi, Marina e Piersilvio. Il Milan gli è stato sottratto dalla figlia Barbara. Persino due opinion maker come Giuliano Ferrara e Marcello Veneziani lo hanno abbandonato. Sul Foglio, Ferrara gli ha dato del cazzone in capo. Il suo Pdl si è disfatto e quel poco o tanto che ne resta non lo segue più. A parte una pattuglia di fedeli ogni giorno più in gramaglie.  Il Cav ha la Balcania in casa, ma non vuole rendersene conto. Confermando una tragica verità: Silvio è il peggior nemico di Silvio. Lo rivelano i suoi errori. Un giorno dichiara di essere ancora un leader e di sperare in un trionfo elettorale che gli darà la maggioranza assoluta. Il giorno successivo si propone come ministro dell'Economia in un governo guidato da Angelino Alfano. Il terzo giorno progetta di riformare la Costituzione e di dar vita a un regime presidenziale. Il quarto comincia a lavorare ai fianchi la Lega guidata da Roberto Maroni nella speranza di rinnovare l'intesa che nel 2008 l'aveva riportato a Palazzo Chigi.  Berlusconi si è rinchiuso da solo nella gabbia stretta del potente che non comprende di essere finito. Il suo ciclo, buono o cattivo che sia stato, si è concluso. Niente e nessuno lo riporterà in vita. Dovrebbe aprire la strada ad Alfano, invece fa di tutto per rendergli difficile l'esistenza e tenerlo sotto tutela. Parecchio tempo fa, proprio su  Libero, avevo suggerito al Cavaliere di andare in pensione e di godersi la terza età. Purtroppo per lui non mi ha ascoltato.  Eppure ci sono molti modi per invecchiare bene. Non alludo al consumo del Viagra, dato che Berlusconi ci garantisce di non averne bisogno. E non mi riferisco neppure al piacere di circondarsi di belle donne, quello che Ferrara ha chiamato il Sistema Bordello. Anzi, approvo il suo gusto per le ragazze audaci: è il modo più lieto di esorcizzare la paura di morire. No, il mio suggerimento a Berlusconi è un altro.  Scriva un libro di memorie sulla propria battaglia politica. O lo costruisca assieme a un giornalista che non sia un suo dipendente. Svelando tutto, ma proprio tutto. Sarà un best seller. Per eleganza, non potrà essere affidato alla sua Mondadori. Ma gli garantisco che altri editori forti si metteranno in coda con un contratto da firmare.  Mentre il centrodestra è alle prese con una pesante Balcania interna, sul versante opposto sembrano fare di tutto per fabbricarne una a proprio uso e consumo. Il Partito democratico ha di fronte a sé la prospettiva concreta di vincere le prossime elezioni. La scelta di allearsi con l'Udc di Pierferdinando Casini la ritengo una mossa giusta. Anche perché Perluigi Bersani sa bene che in Italia la sinistra non ce la fa ad andare al governo senza coprirsi le spalle con un  centro moderato.  Gli unici due esecutivi rossi o rosa si sono imposti perché avevano come candidato premier un democristiano collaudato, Romano Prodi. Poi la storia si è conclusa in un disastro. Nel 1996 e nel 2006 i governi di centrosinistra si sono uccisi da soli. Per l'ostilità nevrotica di alleati come Rifondazione comunista e altri gruppuscoli isterici. Schegge irresponsabili che il Professore, preveggente, aveva definito «le mie frange lunatiche».  L'intesa fra Bersani e Casini taglia via i due terzi della fotografia di Vasto. Vengono cancellati Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Ed è bene che sia così. Lo dimostra la reazione rabbiosa degli esclusi. Mi auguro che vengano lasciati urlare. Di qui al 2013 avranno le loro gatte da pelare. A cominciare dalla fatica di non farsi distruggere dal concorrente più pericoloso: le Cinque stelle di Beppe Grillo.  Anche il re dei comici ha la sua Balcania. Quello che accade nell'unica città conquistata, Parma, dimostra che la protesta può regalarti molti voti, però non serve a governare. Se fossi al posto del sindaco Federico Pizzarotti chiederei i danni a Grillo. È stato il suo leader a mettergli i bastoni tra le ruote. La giunta comunale di Parma stenta a nascere. E anche quando sarà al completo, si troverà alle prese con un lavoro immane. Che l'onesto «Pizza», così prevedo, non sarà in grado di affrontare.  La bella Parma rischia di diventare il simbolo dell'Italia di oggi. Un paese soffocato da una quantità enorme di problemi. Con un'opinione pubblica spaventata.  Incapace di aver fiducia nel futuro. Restia a consumare anche senza fare follie. Alle prese con un sistema politico che fa acqua da tutte le parti. In preda a una rabbia crescente nei confronti di una casta partitica che non vuole rinunciare a nessuno dei propri privilegi. A cominciare dal più sfacciato: quello di non rendersi conto che siamo in guerra e tutti devono essere all'altezza dei rischi che stiamo correndo.  È questa la nostra Balcania collettiva. Riconoscere che va affrontata con saggezza e coraggio è il primo dei doveri. Se la faccenda da risolvere è questa, risultano follie omicide le manovre per abbattere il governo dei tecnici e andare al voto anticipato. Sarebbe un vero e proprio colpo di stato. Da punire con la fucilazione alla schiena per alto tradimento.  Per fortuna abbiamo a Palazzo Chigi un premier come Mario Monti. Adesso è diventato di moda definirlo Supermario. La retorica non mi è mai piaciuta. Ma in questo caso sono pronto ad accettarla. Contro la Balcania che ci minaccia teniamoci stretto il nostro Supermario.  Il professor Monti non è un padreterno. Anche perché in politica non ne esistono. Soltanto il Cavaliere era convinto di esserlo e abbiamo visto come è finita. Però il tecnico  insediato da Giorgio Napolitano a Palazzo Chigi era l'unico volontario disposto ad affrontare un rischio gigantesco.  Cerchiamo di non sgambettare né lui né i suoi ministri. Stanno lavorando per noi, cittadini senza potere. Una volta caduto Monti, non sapremmo a chi affidare la baracca italiana. Vogliamo assaggiare un governo guidato da Grillo e dall'ex ministro Renato Brunetta? Quella sì che sarebbe una Balcania perfetta.  di Giampaolo Pansa

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