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Brindisi e il peggio della politica:"A chi giova la strage?"

Poche ore e si scatena la caccia al mandante della bomba: Grillo, Di Pietro, Veltroni, il Fatto. Non un bello spettacolo

Giulio Bucchi
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Prima il casino e poi il complotto, era solito ammonire il portavoce della Thatcher, Sir Bernard Ingham. Che, per sua fortuna, non aveva mai avuto a che fare con l'Italia. Dove c'è un significativo segmento di popolazione talmente smanioso di gridare al complotto da non farsi problemi ad usare il casino per amplificare il proprio grido alle oscure trame. E ieri, a bomba ancora fresca, era pieno di gente che aveva capito tutto: esecutori, mandanti e inconfessabili segreti inclusi. Al solito, quando c'è da buttarla in complotto, il celebre “popolo della Rete” è un giro avanti a tutti. Per brevità - si dovessero elencare le stramberie circolate sui vari social network ci vorrebbe un'edizione speciale - ci si farà bastare quanto sostenuto da Beppe Grillo e Fatto quotidiano, che del popolo in questione dovrebbero essere leader politico e testata di riferimento. Il comico genovese parla a botta calda e, conoscendo il mestiere, snocciola un crescendo wagneriano, a partire dall'incipit: «Cui prodest questo attentato?». E se la premessa è il cui prodest, allora è lecito aspettarsi i fuochi d'artificio. Che non tardano ad arrivare: «Alle coincidenze», prosegue Grillo, «ho smesso di credere da tempo, da quando ho visto da bambino per la prima volta Andreotti in televisione». Segue lunare tirata che mette insieme piazza Fontana e Spatuzza, Bologna e Adinolfi e in cui la parola «mandanti» compare almeno una volta in ogni frase. Conclusione: «Gli italiani lo pensano e io lo dico: da tempo ci si aspettava una bomba come questa, era nell'aria elettrica come prima di un temporale».  Fa, se possibile, di meglio il quotidiano di Padellaro e Travaglio. Che, mentre ancora per gli inquirenti l'unica certezza è che è scoppiata una bomba, pubblica in rete un servizio contenente, nientemeno, «l'identikit dei mandanti». Svolgimento: i mandanti della bomba di Brindisi sono «i membri di quella Cupola Nera composta da massoneria, politica corrotta, pezzi deviati dei servizi segreti e finanza speculativa» i quali sono spaventati a morte dal «cambiamento che in Italia si sta manifestando attraverso i giovani a la Rete». Motivi di constituency, si potrebbe dire. Nel bacino di utenza di Grillo e del Fatto c'è un sorprendente numero di individui convinti che l'undici settembre l'abbiano fatto gli ebrei perché l'hanno visto su Youtube. Lisciarsi questa gente (sottilissima l'operazione del Fatto, il cui sottotesto è: la Spectre è nemica della Rete, noi siamo la Rete, noi siamo l'anti-Spectre) è, se non altro dal punto di vista del marketing, operazione comprensibile. Al contrario di quanto fatto da chi, invece, in teoria nessun bisogno avrebbe di dare spago a certe derive. Come ad esempio Walter Veltroni che, a poche ore dall'attentato, si sente in dovere di ricordare che «la mafia agisce anche in conto terzi». O come Tonino Di Pietro, che cede al riflesso pavloviano del tempo (e dell'elettorato) che fu e discetta per tutto il giorno di «guerra civile» e «strategia della tensione». O come il reduce comunista Marco Ferrando che butta lì «i crimini oscuri». O come il leghista Roberto Calderoli che, seppure dubbioso, non riesce a impedirsi di «pensare male» e di ricordare che a fare così «come diceva qualcuno, alla fine ci si azzecca». O come tutti quelli che, tra casino e complotto, preferiscono non sbilanciarsi. di Marco Gorra

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