La Grecia è sul baratroA noi il conto più salato
Ad Atene si torna alle urne, Lagarde non esclude un ritorno alla dracma: l'Italia soffre più degli altri
L'euro ha rotto un altro supporto: ieri sera veleggiava intorno a 1,27 dollari. Ancora in calo, ma ben lontano dai minimi di 0,85 di dieci anni fa. Per cui la moneta unica sembra tenere, anche perché il mercato valutario è molto liquido e difficilmente (...) gli speculatori possono influire sui prezzi. Tutto il contrario di quello che avviene nel mondo dello spread: quello italiano ieri ha chiuso a 440 punti base. Di nuovo in salita dopo che i credit default swap, ovvero le assicurazioni contro il rischio Italia, hanno toccato quota 500. Colpa della Grecia, che non è riuscita a formare un governo. Nemmeno quello tecnico. Si voterà, a spese nostre. Per questo molti commentatori sostengono che il ritorno alla dracma di Atene sia questione di mesi. Anche Christine Lagarde ha aperto ad un'«uscita ordinata» della Grecia dall'euro: «Sarebbe straordinariamente costosa e presenterebbe dei grandi rischi, ma fa parte delle opzioni che siamo obbligati a considerare tecnicamente», ha affermato il direttore generale del Fmi. La quale ha aggiunto: «La Bce ha margini per ridurre i tassi di interesse. E mi auguto che la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande riescano a trovare un terreno comune, anche perché lo scontro fra austerity e crescita è un falso dibattito». E chissenefrega se si creerà più inflazione. Sarà, ma mentre i grandi della Terra dibattono su come evitare un'altra depressione stile anni '30 (anche Obama sarà a Bruxelles per spingere l'Europa a uscire dal guado) l'Italia sta soffrendo come non mai. Nel giro di tre mesi siamo tornati ai momenti bui del primo trimestre 2009. In piena crisi post Lehman Brothers. Il Pil sta scendendo da nove mesi consecutivi, la Borsa non riesce a ripigliarsi e sta rivedendo i minimi di tre anni fa, mentre lo spread - il «dittatore» del Vecchio continente - è sempre più incontrollabile. Con un guaio in più rispetto a sei mesi fa: il governo Monti ha già dato fondo alle tasse. Ci restano poche armi da sparare: il taglio della spesa, che comunque significa calo del Pil, e la vendita del patrimonio pubblico per fare cassa. Poi è finita. Il problema è anche che il nostro esecutivo non risponde a nessuno, non è politico. E ha finito la benzina: in teoria deve tirare fino alla primavera 2013, cioè quando andrà al voto anche la Germania. Proprio quello sarà il momento clou dell'Europa e dell'euro: la stampa tedesca rilancia l'idea di dividere l'eurozona in due aree diverse: da una parte i migliori e dall'altra i Pigs, ma stavolta con l'Italia al posto dell'Irlanda. La quale Irlanda - che vanta una pressione fiscale vantaggiosa - ha chiuso il trimestre con un aumento dell'entrate del 16%, contro il nostro misero +0,7%. A noi tocca aspettare il voto di Atene e quello tedesco, prima di quello italiano. Se la Merkel non cambia idea, saremo sempre più greci e sempre meno europei. di Giuliano Zulin