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Germania, la "bomba" dei tre partitini: caos totale, che scenario si delinea

Daniel Mosseri
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Uno studio spoglio, essenziale. Due giornaliste sedute e due candidati in piedi su uno sfondo verde-blu. Si è aperto così sul primo canale della televisione pubblica tedesca il primo duello fra i due principali candidati cancellieri alle elezioni del 23 febbraio: il capo del governo uscente, il socialdemocratico Olaf Scholz e il suo sfidante cristiano democratico Friedrich Merz. Un po’ polverosi, i due politici over 65 aprono la discussione con uno scambio di gentilezze, ritirando gli insulti personali dei giorni passati. Le due intervistatrici, Sandra Maischberger e Maybrit Illner, partono subito con il tema più caldo: il recente doppio voto congiunto fra la Cdu e i sovranisti di AfD al Bundestag sul tema delle migrazioni irregolari. Scholz attacca: «L’anno scorso Merz ci aveva garantito che non avrebbe lavorato con AfD e poi ha presentato una legge proprio con loro: per me questo è un tabù infranto. Nella Repubblica federale non si lavora con la destra estrema». Perché dobbiamo fidarci che non lo farà più?, chiedono le giornaliste a Merz: «Tanti auspicano che lo facciamo di nuovo ma noi su euro, Nato, Russia, America non abbiamo temi in comune con AfD», replica lui.

E il fatto che lo scrittore e filosofo ebreo Michel Friedman abbia lasciato la Cdu dopo quel voto? «Mi dispiace ma mentre lui lasciava centinaia altri si tesseravano». Scholz si gioca una carta: «Io sono per controlli più severi e da quando sono cancelliere i numeri dei migranti sono scesi e le espulsioni cresciute. Non ci sono leggi più severe di quelle proposte da me». Merz sorride: «Il governo ha fatto pochissimo: da quando lui è cancelliere sono entrati 2 milioni irregolari. Troppi. Scholz descrive una situazione che non risponde alla realtà nel paese». E l’economia? «Siamo una potenza industriale con l’occupazione e l’inflazione sotto controllo», afferma il cancelliere. «Siamo in recessione da tre anni», replica Merz, che affonda il coltello: «Cancelliere, ma in che mondo vive?». «Abbiamo avuto grosse spese per l’energia e l’Ucraina», si difende Scholz. «E gli altri paesi europei che crescono non le hanno avute?», lo pungola Merz. E così avanti sul nucleare, su Trump, sul reddito minino, su quello di cittadinanza, sulle aliquote fiscali e gli altri temi sollevati dalle giornaliste.

 

 

Un duello in punta di fioretto nel corso del quale ognuno si è ben guardato dall’affondare la lama nel corpo dell’avversario. Merz e Scholz sanno bene che con AfD attorno a quota 21% nei sondaggi, i rispettivi partiti Cdu (al 29%) e Spd (al 16%) saranno “condannati” a governare insieme. Se siano capaci di farlo non è chiaro ma è chiaro che Merz non ha interesse a mandare Scholz al tappeto. E mentre i “grandi” dibattono in diretta tv, ma non ci sarà un confronto a due fra la sovranista Alice Weidel e il leader dei Verdi Robert Habeck per il rifiuto di quest’ultimo, tre partiti più piccoli lottano perla sopravvivenza puntando cioè a superare la soglia di sbarramento del 5% su scala nazionale per accedere al Bundestag. Sul lato destro la sfida del 5% è tutta per la Fdp, il Partito liberale guidato dall’ex ministro delle Finanze Christian Lindner, l’uomo che lo scorso dicembre ha aperto la crisi ritirando i suoi ministri dal governo “semaforo” con i rossi di Scholz e con i Verdi. I tedeschi non amano né l’instabilità né le sorprese ed ecco che domani la Fdp rischia di restare senza deputati a dispetto del solido 11,4% portato a casa alle ultime elezioni.

Spietato, giorni fa lo stesso Merz ha invitato i tedeschi a non disperdere il voto (ogni elettore ne ha due a disposizioni e vale il voto disgiunto) evitando di scegliere la Fdp, in passato partner ideale di una Cdu molto più forte di oggi. A sinistra invece la lotta è fra i socialcomunisti della Linke e i rossobruni del Bsw, nati da una costola della Linke ma dal programma decisamente più filorusso e anti-immigrati. Se tutti e tre i partiti piccoli dovessero farcela per Merz la sfida della formazione del governo sarà ancora più dura: secondo gli esperti con più di sei partiti al Bundestag la somma dei voti dell’Unione con quelli della Spd non basterebbe a raggiungere la maggioranza assoluta in aula. E pensare che quella formula si chiama ancora “Grosse Koalition”.

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