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Che cosa Trump vuole davvero per Gaza e Ucraina
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Donald Trump vuole fare il “resort a Gaza”, questa è la riduzione ai minimi termini di quello che ha detto il presidente degli Stati Uniti e di quello che pensano gli opinionisti à la page, i quali si fermano sempre alle parole, alla superficie, alla schiuma dell’onda, e non colgono mai il significato profondo di quello che dice il 47esimo presidente degli Stati Uniti.
Quando Trump sostiene il trasferimento dei palestinesi in altri territori (la Giordania e l’Egitto in primis), sta mandando alla comunità internazionale (mentre al suo fianco c’era il premier israeliano Bibi Netanyahu) un messaggio molto chiaro: la Casa Bianca non crede in questo scenario, alla soluzione due popoli e due Stati, per il semplice motivo che Gaza non si può ricostruire con Hamas che tenta di riarmarsi e con un’Autorità palestinese che non ha né autorità né autorevolezza.
Trump sta proponendo un reset completo della situazione e naturalmente Netanyahu è d’accordo. Nessuno in Israele, nemmeno i progressisti, per non dire della destra, crede a un ritorno degli accordi di Camp David o qualcosa del genere, quella fase della storia è chiusa. In Medio Oriente ci sono gli accordi di Abramo e c’è una storia da riscrivere completamente, un romanzo di cui naturalmente i palestinesi fanno parte ma rinunciando al feticcio di uno Stato che non sarebbero in grado di gestire senza trasformarlo in un santuario della violenza.
Nel cuore dell’Europa sta succedendo qualcosa di altrettanto radicale, Washington sostiene la necessità di nuove elezioni in Ucraina. Zelensky ha subito captato il problema (se stesso) e come un fulmine ha detto di essere pronto a trattare la pace direttamente con Putin. Il Cremlino a sua volta ha detto che è disposto ad aprire i colloqui, è chiaro che Zelensky cerca di salvare il suo ruolo di leader, mentre Putin cerca di capitalizzare lo scenario di guerra (che lo vede in vantaggio) e il momento politico dei primi cento giorni dell’amministrazione Trump.
In questo quadro l’Europa è uno zombie, ma l’Italia ha un potenziale straordinario: può fare da ponte con Washington e ritrovare un ruolo di interlocutore con Mosca, quello che ha sempre avuto. La pace si fa con il nemico, ma c’è bisogno di un amico che sappia parlare con tutti.
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