I finanziamenti del terzo mondo vengono predati dai leader africani: giusto che gli Usa li cancellino
Solo una persona che vive in Africa poteva permettersi di scrivere che gli Stati Uniti hanno fatto bene a congelare il loro programma di aiuti ai Paesi in via di sviluppo per novanta giorni, e di aggiungere: «Vorrei che potesse essere eliminato in Africa per sempre, tranne che per alcuni Stati disperatamente poveri». A sostenere l’indicibile è Kaltum D. Guyo, commentatrice politica del quotidiano Nation (il maggiore media indipendente dell’Africa orientale e centrale), avvocata, ricercatrice, che vive tra il Kenya e il Regno Unito: «È difficile giustificare gli aiuti ai Paesi i cui leader rubano risorse piuttosto che investire in programmi pubblici a vantaggio dei cittadini. Gli aiuti stanno rendendo pigri i leader africani, perché sanno che l’Occidente farà il lavoro al posto loro attraverso gli aiuti».
Il 20 gennaio, subito dopo la cerimonia d’insediamento, Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che sospende per tre mesi l’erogazione di quasi tutti i fondi destinati ai progetti di cooperazione umanitaria e sviluppo, esclusi gli aiuti alimentari d’emergenza e i finanziamenti militari per Israele ed Egitto. Una misura necessaria per valutare l’efficienza dei programmi, ha spiegato Washington.
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Con 13,9 miliardi di dollari, gli Stati Uniti nel 2024 hanno contribuito al 42,2% della spesa globale in aiuti umanitari (dati Fts/Unocha). Se si tiene conto dei fondi destinati ad altri settori, per l’educazione o lo sviluppo economico, per esempio, l’impegno americano arriva a 72 miliardi distribuiti in 180 nazioni (sono i dati ufficiali del governo relativi al 2023, quelli 2024 sono in elaborazione). Così, nonostante il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, abbia assicurato «l’assistenza umanitaria salvavita», ovvero «medicine salvavita di base, servizi medici, cibo e assistenza di sussistenza, nonché forniture e costi amministrativi necessari per fornire tale assistenza», le Ong hanno cominciato a dare l’allarme. Emergency Plan for Aid Relief, che cura oltre 20 milioni di pazienti nel mondo affetti da HIV, sostiene che sia una «questione di vita o di morte»: il congelamento dei fondi potrebbe portare i pazienti a morire di AIDS e il virus dell’HIV a diffondersi di nuovo.
Le organizzazioni che operano in Sud America sostengono che la decisione non farà che esacerbare la violenza, spingendo più migrazione da un’area, dalla Colombia al Venezuela, alle prese con l’aumento della criminalità organizzata (nel 2023, gli Usa hanno erogato 1,5 miliardi di dollari ai Paesi sudamericani). Nel Sud-est asiatico, gli attivisti hanno avvertito che si fermeranno le campagne di sminamento in Vietnam, Laos e Myanmar: morti e feriti saranno decine. Infine, sostiene il New York Times, la scelta rischia di ridestare la minaccia dell’Isis perché toglie il controllo e il sostentamento ai campi profughi (quello di Al Hol, in Siria, per esempio) che ospitano i terroristi e le loro famiglie.
Tutti aiuti «costruiti sull’ingenuità dell’Occidente», ha scritto Guyo. Alla popolazione, quando va bene, arrivano rivoli. In Kenya i fondi per l’epidemia di HIV sono stati «impegnati» in appropriazione indebita (un funzionario si è costruito una villa con i fondi rubati), le Ong sono proliferate nel tentativo di beneficiare dei fondi, per non parlare dei ridicoli programmi di lotta al cambiamento climatico. «Il livello di corruzione ostacola qualunque buona intenzione: è difficile giustificare il motivo per cui un Paese è povero quando il suo leader è nella lista di Forbes, considerato uno degli uomini più ricchi al mondo».
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