Donald Trump e l'elogio fortuito: "Zelensky non è un angelo"
«Vvladimiro e Vlodimiro, per Trump, pari sono. Gemelli nemici, entrambi responsabili della guerra. E, come sappiamo dall’Armando di Enzo Jannacci, un gemello può essere il peggiore dei carnefici. In un’intervista rilasciata a Fox News, il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che sia il leader russo Vladimir Putin sia quello ucraino Volodymyr Zelensky hanno colpe per lo scoppio del conflitto e per il suo prolungarsi. «Nemmeno Zelensky avrebbe dovuto permettere che ciò accadesse. Non è un angelo», ha detto Trump all’emittente della famiglia Murdoch. Donald ha ribadito quanto dichiarato a Davos e cioè che il presidente ucraino vuole raggiungere un accordo con la Russia: «Ne ha avuto abbastanza». Secondo il presidente degli Stati Uniti, l’esercito di Kiev sta combattedo contro «un’entità molto più grande e molto più potente». Zelensky «non avrebbe dovuto farlo perché avremmo potuto raggiungere un accordo», ha detto, aggiungendo che invece «Zelensky ha deciso: “Voglio combattere”». Il presidente degli Stati Uniti ha affermato che la Russia ha «30mila carri armati» e che «Zelensky non ne aveva praticamente nessuno». Le armi che hanno gliele ha fornite quasi tutte l’America e questo è il nocciolo della questione dal punto di vista che più condiziona la politica d’oltreoceano: quello di chi paga le tasse. E gli elettori Usa, dopo la soddisfazione iniziale di vedere il nemico ereditario preso a calci nel sedere dal più debole esercito gialloblù, si sono stufati di pagare.
È ugualmente inutile cercare di convincere Donald di una ovvietà come quella che è stato Putin a invadere l’Ucraina e solo alla fine Zelensky si è preso un pezzettino di Russia. Lui, il tycoon più famoso, vede le cose in termini di pura forza: se sei debole è normale che tu perda. E purtroppo ha ragione lui. Il presidente Usa ha concluso il colloquio così «Amo i russi, sono un grande popolo». A ben vedere, però, Trump ha fatto l’elogio migliore possibile di Zelensky: è vero, non è un angelo. Ma da quando gli angeli non guidano più gli eserciti né girano armati come nella Bibbia, per fare la guerra non servono creature dalla bontà sovraumana. Anzi, le democrazie combattono esattamente come le dittature e a volte la storia mostra che sanno essere persino più spietate. Forse perché hanno qualcosa di più prezioso delle altre da difendere.
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Prendiamo ad esempio Israele. In questi mesi le sue forze di difesa hanno combattuto a Gaza e nel sud del Libano per eliminare la minaccia più micidiale all’esistenza dello Stato ebraico mai vista, l’alleanza terrorista fra Hamas, Hezbollah e la Repubblica iraniana. L’esito è la distruzione di Gaza e un bilancio di vittime pesantissimo. A provocare la strage è la lucida strategia suicida del gruppo terrorista che controlla la Striscia: più morti palestinesi sarà possibile attribuire a Israele e più sarà difficile per i governi arabi mantenere buoni rapporti con Gerusalemme. I soldati israeliani, da parte loro, si comportano come tutti gli essseri umani in battaglia (con qualche eccezione come il 7 ottobre): alcuni con rispetto dei nemici e dei civili, altri meno attenti a questo o addirittura in cerca di vendetta (è così strano?). Ma non c’è un piano di sterminio e l’aspetto demoniaco della guerra a Gaza non dipende dai comandi IDF ma dal genio malvagio dei fratelli Sinwar e degli altri comandanti di Hamas. E tuttavia è sbagliato credere che chi guida Israele in questa prova decisiva, cioè Benjamin Netanyahu, non sarebbe pronto a colpire in modo ancora più spietato il nemico. Come prima di lui hanno fatto Winston Churchill ed Harry Truman quando i loro Paesi si trovavano a fronteggiare altre prove decisive Perché difendono qualcosa di molto prezioso.