Se grazie a Trump i danesi si sono accorti che in Groenlandia ci sono esseri umani
Ci voleva la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca e il suo piano di annessione della Groenlandia agli Stati Uniti per spingere la Danimarca ad abbandonare le sue vecchie logiche coloniali che da decenni umiliano le minoranze dell’isola artica – territorio danese autonomo – attraverso l’uso di test di “competenza genitoriale”. Copenaghen ha infatti annunciato l’abbandono di questi test controversi, in seguito alle proteste veementi per il modo in cui sono stati usati su persone della minoranza Inuit, spesso causando la separazione dei bambini dai loro genitori. Da anni gli attivisti per i diritti umani denunciavano il carattere discriminatorio dei test psicometrici utilizzati nelle indagini danesi sulla protezione dell’infanzia, noti come Fku (forældrekompetenceundersøgelse): perché culturalmente inadatti ai groenlandesi e alle altre minoranze che vivono in Danimarca, che un tempo governava l’isola artica come colonia e continua a controllarne la politica estera e di sicurezza. «Forse in Danimarca credete che siamo una sola società, ma non è vero, siamo due. Siete stati con la Groenlandia per molti, molti anni. Abbiamo rispettato la vostra cultura e le vostre regole, dovremmo valere qualcosa per voi. Basta con il pregiudizio. Noi non prendiamo i vostri figli», attaccò lo scorso anno, in un video su Facebook, una madre di origini groenlandesi, Keira Alexandra Kronvold, dopo la decisione delle autorità danesi di toglierle la custodia della neonata Zammi, strappata dalle sue braccia a sole due ore dal parto.
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Il caso di Keira, verificatosi il 7 novembre 2024, giorno dell’Inuit Day (festività istituita per “celebrare gli Inuit e amplificare la loro voce”), era diventato un simbolo delle difficoltà dei groenlandesi a vivere secondo le regole di una società che sembra non voler riconoscere la loro cultura. Nel 2022, il Danish Institute for Human Rights aveva già evidenziato che i figli di genitori Inuit venivano allontanati dalla famiglia con una percentuale fino a sette volte superiore a quella dei figli di genitori danesi. Secondo Aaja Chemnitz, esponente del partito groenlandese Inuit Ataqatigiit e membro del parlamento danese, il test Fku, anziché sostenere le famiglie indigene, tendeva a minare l’identità culturale e linguistica delle nuove generazioni groenlandesi, colpevoli semplicemente di «non essere abbastanza danesi».
Ma dopo settimane di tensioni tra Copenaghen e Nuuk, generate dalla promessa di Trump di prendersi la Groenlandia, il governo danese ha finalmente accettato di rinunciare all’uso dei test Fku nei casi di bambini che coinvolgono famiglie con un background groenlandese. Ieri, il premier della Groenlandia, Múte Bourup Egede, più interessato a manifestare il suo odio ideologico verso The Donald che alla sorte delle minoranze dell’isola artica, ha pronunciato queste parole durante una conferenza stampa: «Siamo groenlandesi, non vogliamo essere americani. Il futuro della Groenlandia deve essere deciso in Groenlandia». Il ministro degli Esteri danese, Lars Lokke Rasmussen, in risposta alle ambizioni del presidente americano, ha dichiarato che «nessun Paese può fare come vuole in Groenlandia». L’effetto Trump si fa già sentire.