Groenlandia, Venezuela, Polo Sud, Taiwan, Panama: la politica mondiale gira attorno alle materie prime
Da Trump che rivendica in modo chiassoso Canada, Groenlandia e Canale di Panama a Maduro che minaccia di prendersi un pezzo della Guyana passando per la Cina che continua a pressare Taiwan, i movimenti della Wagner in Africa, il presidente cileno Gabriel Boric che il 3 gennaio è stato il primo leader latino-americano ed il terzo in assoluto dopo i primi ministri neo-zelandese e norvegese ad arrivare al Polo Sud, il presidente argentino Javier Milei che annuncia una triplice sfida energetica di shale-nucleare-idrogeno e la stessa guerra in Ucraina, è sempre più intensa l’agitazione mondiale. Sta girando sui Social il meme secondo cui Trump avrebbe pescato una carta del Risiko in cui su fissava come obiettivo al giocatore «conquista la Groenlandia, Panama e un terzo Paese a scelta».
Battute a parte, in effetti il tutto può assomigliare a una colossale partita di Risiko dovuta a un momento di passaggio. Un po’ come la Disfida di Barletta che rinnovò l’epopea cavalleresca in un’epoca in cui già le guerre si facevano con cannoni e archibugi o quella Grande Guerra in cui alle ultime cariche di cavalleria e gli assalti alla baionetta si affiancarono e sovrapposero aerei, sottomarini, carri armati, mitragliatrici e gas. Oggi la grande emergenza del riscaldamento globale significa tre cose. La prima, è la ricerca di nuove tecnologie soprattutto ma non solo energetiche che però si affiancano ad altre tecnologie energetiche che ancora restano, in particolare petrolio e gas nella nuova forma dello shale; o ad altre che vengono riscoperte, con per esempio è accadutot lo scorso settembre con l’annuncio americano di voler mettere in funzione l’impianto di Three Mile Island, secondo una tendenza che vede sempre più le Big Tech puntare sul nucleare come fonte di energia affidabile e a emissioni zero, utile a supportare i loro data center in espansione e le loro attività sempre più intense.
NUOVE TERRE E MARI
La seconda, è che lo scongelamento delle aree polari permette di includere anch’esse tra i territori dove cercare nuove risorse. La terza, riguarda ancora lo scongelamento poiché esso di fatto libera nuove rotte di valore strategico. Trump è stato eletto anche per la sua promessa di appoggiare shale e trivellazioni, e appunto il boom petrolifero argentino di Vaca Muerta si basa sullo shale. Ma visi trova anche petrolio tradizionale. Dal 2019 in Guyana è iniziato un boom che ha portato a tassi di crescita del Pil mostruosi: +43,5% nel 2020, 37,2 nel 2023, 45,3 nel 2024. Per questo l’anno scorso lo Stato ha versato 370 dollari derivanti da entrate petrolifere a ogni cittadino, e anche il Suriname pensa ora di fare lo stesso. Petrolio e gas stanno venendo allo scoperto sia in Paesi che già lo hanno, come Arabia Saudita, Kuwait, Norvegia, Brasile, Bolivia, Bahrein; sia in Paesi dove ce ne era stato tanto in passato ma si riteneva ormai esaurito come la Romania; sia in nuovi produttori come Egitto, Namibia, Israele, Libano, Turchia, Vietnam, Costa d’Avorio. Ma lo scioglimento dell’Artico potrebbe aumentare anche le risorse di Canada e Russia. Attualmente ai primi posti nel petrolio sono Usa, Arabia Saudita, Russia, Canada, Cina, Iraq, Iran, Emirati Arabi Uniti, Brasile, Kuwait, Norvegia e Messico. Per il gas: Usa, Russia, Iran, Cina, Canada, Australia, Arabia Saudita, Norvegia e Algeria. Ma le prime riserve di petrolio le avrebbe il Venezuela: solo ventesimo come produzione per colpa soprattutto della cattiva gestione da parte del regime chavista, ma anche per le sanzioni che si è procurato.
Appunto per recuperare un potenziale partner economico, gli Usa hanno provato a alleviare le sanzioni in cambio di un dialogo con le opposizioni, un tema su cui però Maduro si è rivelato inaffidabile. Il ritorno al nucleare significa poi uranio. E qua dopo il Kazakistan il secondo produttore è il Canada, 51° Stato dell’Unione come Trump sogna. E settimo in classifica è il Niger, dove un golpe filo-russo ha fatto fuori il governo eletto filo-francese. Auto elettriche, solare e eolico significano poi materie prime come il litio e le terre rare. Il primo, metallo indispensabile per le batterie a rapida ricarica, ha il suo primo produttore in Australia, ma la Cina è terza, e negli scorsi anni si è spesso parlato di un triangolo del litio Cile-Argentina-Bolivia. Se però il Cile è effettivamente il secondo estrattore e l’Argentina è il quarto, in Bolivia questa industria non è mai decollata, per problemi politici anche qui collegati a un tipo di governo populista e inefficiente. Però russi e cinesi stanno cercando di mettere le mani su La Paz. In compenso è decollato il Brasile, ora quinto. E ci sarebbe un potenziale anche in Canada - ancora il Canada!
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MONOPOLIO CINESE
Il problema delle terre rare è che si è lasciato che la Cina ne acquisisse un quasi monopolio, col 68,75% della produzione mondiale nel 2023. Pechino ha minacciato più volte di sospenderne l’export, anche in risposta alle minacce Usa di bloccare l’arrivo di microchips, vitali per le nuove tecnologie. E non solo per impedire di alimentarci la macchina bellica russa. Circa la metà di tutti i microchip in circolazione, e l’80-90% di quelli più sofisticati e importanti, è prodotta infatti a Taiwan. Ma questo primato cinese si è comunque già ridotto drasticamente rispetto al 97% del 2010; di terre rare se ne sono trovate tra Usa, Myanmar, Australia e Thailandia, e dovrebbero entrare in produzione nuovi grandi giacimenti tra Norvegia e Svezia. Ma sono molto promettenti appunto anche Canada e Groenlandia, oltre che il Donbass.
Ma in Groenlandia ci sono anche altre cose. Jeff Bezos, Bill Gates e Michael Bloomberg si sono infatti imbarcati in un progetto da 15 milioni di dollari per cercare nell’isola rame, nichel, cobalto e altri minerali utili alle batterie per auto elettriche, e nell’aprile 2023 le elezioni anticipate che hanno visto la vittoria del partito indipendentista sono state imperniate sul monte Kuannersit, dove ci sarebbe il secondo più grande giacimento di metalli rari e la quinta più grande riserva di uranio. Il partito socialdemocratico al potere in Danimarca prima lo aveva dato a una società australiana posseduta dal governo cinese, cui i vincitori delle elezioni hanno posto il veto, per motivi ambientali.
VIA DELLA SETA
E poi c’è la nuova rotta artica di Russia e Cina. A partire da quel primo atto strategico del Cremlino dopo l’aggressione all’Ucraina, che fu nel luglio 2022 la pubblicazione di un documento di un centinaio di pagine che pone come quarto dei 21 punti lo «sviluppo di una rotta marittima nordica, in modo da stabilirla come rotta nazionale sicura tutto l’anno e competitiva per la Federazione russa a livello globale».
Motivo per cui Mosca ha militarizzato tutto il tratto di mare tra lo Stretto di Bering e la Norvegia, e sembra riluttante a prendere misure contro un riscaldamento globale che la favorirebbe. E anche la Cina sarebbe interessata a una nuova rotta che da Shenzhen a Amburgo ridurrebbe il viaggio da 34 a 23 giorni. La Cina starebbe approfittando della necessità di Mosca di avere aiuti nella guerra in Ucraina per farsi dare diritto di passaggio in questa “Via della seta polare”. Motivo per cui negli Usa cresce il bisogno di presidiare l’Artico.
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