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Russia-Ucraina, la pace passa dai gasdotti

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Vladimir Putin ha detto che vuole «chiudere la guerra, non congelarla». Non è la prima volta che l’uomo del Cremlino dice di volere la pace, salvo poi lanciare 170 missili e droni contro l’Ucraina il giorno di Natale. Tra le cose che ha detto, quella con conseguenze reali e immediate riguarda le forniture di gas dalla Russia verso l’Europa che, senza un accordo tra Kiev e Mosca per il transito via Ucraina, cesseranno dal 1° gennaio. Non è un problema di volumi (forse lo sarà di prezzo nel breve termine, vedremo), ma di coesione politica dell’Unione europea, perché Ungheria, Slovacchia e Austria dipendono dal gas russo e la chiusura del rubinetto minaccia di incrinare l’alleanza. È questa la ragione della visita del premier slovacco Robert Fico a Mosca qualche giorno fa, non a caso Putin ha svelato l’esistenza di un piano per ospitare i colloqui in Slovacchia.

Guerra e pace passano attraverso gasdotti e oleodotti, con buona pace dei profeti della transizione ecologica che ignorano il record storico dei consumi di carbone. Le navi che trasportano gas liquido e petrolio dagli Stati Uniti all’Europa, dopo la chiusura del tubo della Russia, sono un altro elemento dello scontro tra grandi potenze. Donald Trump fa ha detto che alzerà i dazi se l’Europa non aumenterà gli acquisti di petrolio e gas dagli Stati Uniti, il suo obiettivo è quello di negoziare su tutto, dal contributo alle spese della Nato alle esportazioni di idrocarburi, che continueranno ad essere per decenni il motore del nostro benessere. Non abbiamo “solo” il problema della difesa e della debolezza militare del fianco orientale (al quale va aggiunto lo spazio affollato del Mediterraneo, basta vedere il traffico di navi da guerra russe in questi giorni), l’Europa sarà il terreno di battaglia dei giganti in una terra popolata da nani energetici.

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