Donald Trump, Paolo Becchi e il verdetto delle Midterm: "Ecco chi non ha capito niente"
Nelle ultime quaranta elezioni di medio-termine per il rinnovo della Camera dei rappresentanti, il Presidente in carica ne ha perse trentasette. È il perfetto sistema di pesi e contrappesi istituzionali previsti dalla Costituzione americana che, dopo oltre duecento anni di vita, dimostra di funzionare come nelle intenzioni dei Costituenti. Gli ultimi due casi in cui l'inquilino della Casa Bianca ha vinto le elezioni di metà mandato sono quelle tenutesi dopo l'omicidio di Kennedy e dopo l'11 settembre, quindi in situazioni eccezionali in cui gli elettori hanno avvertito l'esigenza – per motivi patriottici – di sostenere il partito in carica. Leggendo i dati delle Midterm di stanotte, i repubblicani – come nelle previsioni - perdono la Camera ma rafforzano la maggioranza al Senato federale, confermando al momento 51 senatori su 100, tutti in linea con la politica del Presidente (mancano ancora pochi seggi da assegnare, quindi il vantaggio repubblicano potrebbe aumentare). Non è un caso infatti che la campagna elettorale condotta personalmente da Donald Trump abbia favorito l'elezione di quei senatori in bilico, tra cui il potentissimo Ted Cruz in Texas, che da oggi devono al Presidente il prosieguo della loro carriera politica. Con la particolarità che negli ultimi centocinque anni di storia americana, solo cinque volte il partito del Presidente ha ottenuto un rafforzamento al Senato nelle elezioni di Midterm. Per quanto riguarda i risultati alla Camera i democratici non hanno stravinto con l'onda blu di cui parlavano i sondaggi alla vigilia, infatti conquistano pressappoco lo stesso numero di seggi che avevano fino a ieri i repubblicani (mancano ancora i dati definitivi di alcuni collegi uninominali negli Stati-chiave). Trump doveva salvare il Senato e ci è riuscito. I motivi, oltre che pratici, sono soprattutto politici. Negli ultimi due anni il Partito democratico ha più volte paventato l'impeachment nei confronti del Presidente senza alcuna possibilità di portarlo a termine visto che fino a ieri i repubblicani detenevano la maggioranza in entrambi i rami del Congresso. Ora, avendo i democratici ottenuto la maggioranza alla Camera dei rappresentanti, potranno avviare indagini più approfondite sul Russiagate e portare in aula la richiesta di accusa. La maggioranza per approvarla c'è, anche se dal punto di vista politico sarebbe davvero difficile sostenere un'incriminazione nei confronti del Presidente. Si tratterebbe infatti di una vittoria di Pirro. Per assumere valore giuridico vincolante – che comporterebbe le dimissioni del Presidente – l'impeachment dovrebbe essere ratificato dal Senato, dove però i repubblicani hanno una stabile maggioranza e quindi respingerebbero la richiesta. Ma il dato politico rileva anche sotto un altro aspetto, la politica estera. I Trattati internazionali, secondo la Costituzione americana, sono ratificati solo dal Senato federale, quindi Trump continuerà ad avere le mani libere soprattutto nei rapporti politici ed economici con l'Unione europea e con i singoli Stati che ne fanno parte, senza rendere conto alla maggioranza democratica alla Camera che, in materia di politica estera, non ha poteri di ratifica. Ciò comporterà il prosieguo dello smantellamento della globalizzazione avviato dal Presidente americano subito dopo la sua elezione. Non è cosa da poco. Certo, il Presidente dovrà concordare coi democratici la politica economica e quella sull'immigrazione, ma il più ormai è fatto. Il forte choc fiscale in favore delle imprese è già stato approvato, così come anche l'aumento dei salari e la stretta sui migranti. Toccherà accordarsi sul muro al confine col Messico e sui dazi, ma il pragmatismo presidenziale troverà sicuramente la quadra anche su questi temi. Ultimo elemento di grande interesse è la cartina del voto in vista delle presidenziali del 2020. Gli Stati decisivi per l'elezione alla Casa Bianca sono – ormai da diversi decenni a questa parte - Ohio, Pennsylvania e Florida, dove ieri i repubblicani hanno ottenuto più voti dei democratici. Il sistema elettorale per l'elezione del Presidente assegna tutti i grandi elettori spettanti a ciascuno Stato al candidato che ottiene la sola maggioranza relativa del voto popolare, non a livello nazionale ma per ciascun singolo Stato. Se ieri si fosse votato anche per le presidenziali, Trump sarebbe stato riconfermato alla Casa Bianca con un numero considerevole di grandi elettori. Chi dunque oggi parla di vittoria del Partito democratico e di ridimensionamento di Trump, oltre a non saper leggere i numeri, dimostra di non ha capito nulla. di Paolo Becchi e Giuseppe Palma