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Una rom clandestina di 15 anni L'ultimo autogol di Hollande

La ragazza prelevata in gita scolastica ed espulsa: liceali in rivolta. E il Presidente si eclissa

Lucia Esposito
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Gianluca Veneziani «Monsieur le Président, è finita. La Francia ha sulla guancia questa macchia e la storia scriverà che sotto la Vostra presidenza è stato possibile commettere questo crimine sociale». Ci vorrebbero queste parole tratte dal «J'accuse» di Zola per descrivere l'impiccio in cui si è cacciato François Hollande in seguito al già ribattezzato «affaire Leonarda». Leonarda Dibrani è la quindicenne kosovara che lo scorso 9 ottobre è stata espulsa dalla Francia, insieme a sua madre e ai suoi cinque fratelli, in quanto sans papier, ossia priva di permesso di soggiorno. Sono però le circostanze dell'espulsione ad aver indignato l'opinione pubblica transalpina: al momento in cui è stata fermata dalla polizia, la ragazzina era infatti in gita scolastica, a bordo di un autobus. Compagni di scuola e professori hanno dovuto quindi assistere alla scena in cui la giovane studentessa veniva trascinata via, perché irregolare. La vicenda ha non solo scosso le coscienze dei cittadini francesi, ma soprattutto creato una frattura all'interno del Partito socialista. Nel mirino del fuoco amico è finito - ancora una volta - il ministro dell'Interno Manuel Valls, ritenuto responsabile della gestione disumana del caso. Su di lui sono piovute le critiche di alti esponenti della gauche francese, a partire dai suoi colleghi Vincent Peillon, ministro dell'Educazione, che ha mostrato come «la scuola debba essere considerata un luogo sacro» a prescindere dalle leggi, e di Cécile Duflot, ministro della Giustizia Territoriale, che ha definito «un errore» l'intervento della polizia durante l'orario scolastico e auspicato un pronto ritorno di Leonarda in Francia. Le parole più aspre sono state espresse dal deputato socialista Bernard Roman che ha definito l'operazione «una retata» e da Frédéric Hocquard, membro della direzione del PS, che ha addirittura auspicato le dimissioni del ministro dell'Interno. Valls intanto si difende, dichiarando l'espulsione di Leonarda conforme alla legge (la circolare Valls del novembre 2012 che ha posto una stretta sulla concessione dei permessi di soggiorno) e assicurando che sempre «le regole del diritto vengono applicate dai servizi con intelligenza, discernimento e umanità».  L'unico a tacere, al momento, è proprio il presidente Hollande, che ha fatto sapere di volerci prima «vedere chiaro» sulla vicenda. La sua difficoltà è però evidenziata dalle parole della compagna Valérie Trierweiler che ha sconfessato la linea dura di Valls e preso le difese della giovane kosovara, sottolineando come la scuola debba essere «un luogo di integrazione e non di espulsione». Al di là del singolo caso, i maggiori problemi per Hollande sono di natura politica: il suo partito risulta spaccato ed egli stesso sembra incapace di mantenere la barra dritta sui valori fondanti della sinistra. Come ha ricordato il presidente dell'Assemblea nazionale Claude Bartolone, «un conto è la legge, un conto sono i valori sui quali la sinistra non può transigere senza paura di rinnegare la propria anima». Per il presidente, dunque, si profila un doppio scenario: o revocherà l'espulsione e farà tornare Leonarda in Francia, in tal modo violando la legge; oppure confermerà il provvedimento, suscitando le ire di buona parte dei suoi compagni. Comunque faccia, Hollande è destinato a sbagliare. Intanto cresce l'insofferenza nella pancia del Paese. Proprio ieri almeno 4000 studenti sono scesi nelle strade di Parigi, per protestare contro l'espulsione della studentessa. Dopo la sollevazione popolare della Manif pour tous, una nuova Manif, stavolta pour Leonarda, sembra attendere al varco il presidente. In attesa che l'indagine amministrativa sul caso avviata da Valls si concluda, la vicenda della ragazzina si fa intricata anche a livello diplomatico. Il padre di Leonarda, Resat, espulso anche lui, ha infatti dichiarato che sua figlia «è nata in Italia» e che lui e la sua famiglia dispongono di documenti italiani, in quanto hanno vissuto 20 anni nel nostro Paese, nella città di Fano. Quei permessi di soggiorno tuttavia non sono mai stati esibiti alle autorità transalpine perché «ormai ci sentiamo francesi e non vogliamo tornare in Italia». Dopo la vicenda Ablyazov, un nuovo affare di espulsioni che coinvolge minorenni tocca, anche se in modo indiretto, il nostro Paese. Gianluca Veneziani

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