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Da Mao a Tito, ecco cosa mangiavano i dittatori comunisti

Il Grande Timoniere decideva le sorti del partito a tavola e andava pazzo per il maiale con lo scalogno. Per Josip Broz salsicce e pollo a colazione

Giulio Bucchi
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  di Roberto Festorazzi Mao Tse Tung e Josip Broz Tito, due satrapi rossi con molti lati in comune. Classe 1893 il primo, di un anno più anziano il secondo, entrambi eterodossi e scismatici nel campo dell'internazional-comunismo dominato dalla stella moscovita. Ambedue, infine, forgiatori di sistemi politici superati dalla storia e non sopravvissuti ai loro demiurghi. Da un lato, il sistema cinese, che ha conosciuto una mutazione genetica, tale da trasformarlo da monolite dell'ideologia marxista a sistema ibrido: un impero ultraliberista retto da una cricca che concentra su di sé l'eredità statolatrica del maoismo. Sull'altro versante, il modello federalista jugoslavo del leninista socialdemocratico Tito, autoimploso negli anni Novanta con una guerra civile velenosissima e cruenta. In ogni caso, il nome dei due condottieri affiora nel presente cinese e in quello slavo, come se si trattasse di padri controversi dai quali non si può tuttavia prescindere. Visti da sinistra, Mao e Tito sono stati due patriarchi del comunismo. Visti da destra, invece, due tiranni spietati. Per raccontarli, li mostreremo così come realmente furono. Cioè, spiandoli dal buco della serratura, in una delle funzioni più prosaiche, e insieme più intimamente rivelatrici di un carattere umano: e cioè, nell'atto di mangiare.  Leggi la prima parte dell'articolo di Roberto Festorazzi su Libero in edicola oggi, venerdì 5 aprile    

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