L'Egitto vuole islamizzare SharmA rischio le vacanze su Mar Rosso
Una legge del governo Morsi impone il trasferimento della proprietà degli hotel a egiziani doc. Il prossimo passo potrebbe essere il divieto degli alcolici e dei bikini
Gli islamici egiziani guidati dal presidente Mohamed Morsi vogliono "papparsi" gli hotel di Sharm el Sheikh, la celebre località sul Mar Rosso che ogni anno attira milioni di turisti dall'Europa e dalla Russia. Turisti che sono ormai una delle poche fonti costanti di valuta straniera pregiata, in un Egitto in cui il governo ha contingentato l'acquisto di dollari da parte delle banche dopo la corsa al biglietto verde scatenata dalla pesante svalutazione della lira egiziana. Con gli alberghi e i musei del Cairo deserti per le continue violenze nella capitale e le crociere sul Nilo che non si vendono più come una volta per il timore di attacchi terroristici nei maggiori siti archeologici, Sharm è ormai vitale per l'economia egiziana. Ma rischia di subire un duro colpo dalla legge approvata lo scorso settembre dal nuovo regime islamico egiziano e che potrebbe iniziare a produrre i suoi effetti nelle prossime settimane. Impone, la legge, ai proprietari di hotel con doppia nazionalità di vendere entro sei mesi i propri immobili a cittadini "nati da genitori egiziani" e impedisce pure di trasferire i beni a eredi con doppio passaporto. Una sorta di nazionalizzazione, intesa come "egizianizzazione" delle attività alberghiere, che fa temere scenari preoccupanti. Perchè il passo successivo potrebbe essere il divieto di consumare alcolici negli alberghi (i tantissimi turisti russi non verrebro più) o il divieto di stare in spiaggia in bikini (il topless è già, di fatto, bandito visto che nessuna turista vi si azzarda per non avere "incollati" addosso gli occhi di bagnini e istruttori di acquagim). Per l'industria turistica egiziana, che dopo la rivoluzione che ha deposto Hosni Mubarak ha sofferto di cali a doppia cifra percentuale e che solo ultimamente si è in parte ripresa, sarebbe il colpo di grazia con effetti devastanti non solo su politiche monetarie e Pil, ma anche sull'occupazione.