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Petrolio, uranio e oro: gli obiettivi della guerra di Hollande

Il paese sub-sahariano, ex colonia di Parigi, è ricco di preziose risorse, per la gran parte ancora non sfruttate

Matteo Legnani
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È il caso di mettersi in testa che, come avvenne in Libia, né i templi di Timbuctu conquistati e distrutti dai ribelli né i diritti umani siano alla base dell'intervento militare francese in Mali. Infatti il Nord del Mali è al centro di un territorio con immense riserve di petrolio e di gas (Algeria e Nigeria). Ha petrolio. È il secondo produttore di oro dopo il Sudafrica. Ha potenziali miniere di uranio. Si trova a fianco del Niger che ha le maggiori riserve mondiali della stessa materia prima.  Su queste ha messo le mani la Francia con la potentissima Areva. In questo modo ha protetto i suoi interessi, ma ha assicurato a lungo una sorta di stabilità. Almeno finchè non è caduto il regime di Gheddafi che per anni ha svolto il compito di equilibratore della regione.  Poi mollati gli argini le forze da centripete sono diventate centrifughe. E chi per anni ha svolto un ruolo simile a quello dell'ex Colonnello in Libia evidentemente non andava più bene. Il vecchio presidente Tourè negli ultimi tempi aveva inoltre reso ai francesi alcuni sgarbi negando appoggio logistico ai militari. Così abbandonato dalla comunità internazionale e sempre più contestato anche in patria, il presidente maliano fu costretto, lo scorso 20 marzo, alla fuga in seguito all'ammutinamento dei militari, trasformatosi poi in uno strano colpo di Stato. Nessun spargimento di sangue.  L'allora ministro degli Esteri francese Alain Juppé a Radio Europe1, disse: «Noi siamo legati al rispetto delle regole democratiche e costituzionali. Bisogna che abbiano luogo al più presto possibile». Ma nessuna condanna per il golpe. Si diffuse la convinzione nella stampa locale che Parigi da una parte appoggiasse i tuareg del Mnla, ben armati, mentre dall'altra fosse «complice» del golpe.  Il capitano Amadou Sanogo, uno dei ribelli che secondo la stampa locale ha trascorso in passato mesi ad addestrarsi a Quantico negli Usa, dopo aver deposto l'ex presidente, guarda caso lascia il potere e indice le elezioni. Lasciando campo libero al primo ministro Modibo Diarra. Che nell'ultimo anno ha fatto più di un viaggio a Parigi.  Nell'aprile successivo il governo di Bamako perde Timbuctù e da allora la comunità internazionale ha cominciato a spingere il piede sull'acceleratore della lotta al terrorismo islamico. Ma che cosa ha fatto scatenare durante il week end appena trascorso la guerra vera e propria?  I ribelli del nord hanno preso la città di Konna, molto vicina all'aeroporto di Sevarè. Senza il quale diventerebbe molto difficile riprendere il territorio del nord da parte del nuovo governo filo francese. Ecco perché Hollande, che certo non si differenzia dai suoi predecessori nella politica estera e di difesa degli interessi economici, si è dovuto dare una mossa in prima persona.  Abbandonate le dietrologie da servizi segreti, Parigi ha mosso le forze militari per salvare il salvabile e muovere alla riconquista del Nord. Dove c'è la maggior parte dei giacimenti di oro, petrolio e uranio. Quest'ultimo si trova al confine col Niger di cui abbiamo scritto sopra. Il dominio su quei territori a cavallo dei due Paesi assicurerà alla Francia il ruolo di dominus nel mercato dell'energia nucleare. Tenendo presente che dopo il divieto di estrarre nella Ue gas scistoso (voluto dalla Commissione Europea e dalla stessa Francia), l'atomo tornerà in auge e sarà la sola energia a far concorrenza al gas di Putin.  Infine una coincidenza. Il ministro maliano delle miniere Amadou Sy Baby, il 18 dicembre scorso, ha firmato un decreto con in quale si è ripreso il blocco petrolifero numero 4 che nel 2006 era stato dato in concessione all'ENI e alla Sipex, società controllata dall'algerina Sonatrach. Era l'ultimo di proprietà degli italiani nel bacino Taoudeni, controllato dallo scorso aprile dai ribelli Tuareg dell'Mnla e dai militanti islamici di Ansar Dine e Mujao. A chi è andato quel giacimento? Ai francesi di Total. Che ora senza l'intervento militare rischiano di perderlo. di Claudio Antonelli

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