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Maya, tutta la verità: la profezia fu scritta da un drogato

Il 21-12-2012 è arrivato ma stiamo tutti bene (o quasi). Errori e stranezze di un popolo che decapitava chi perdeva a pallone

Giulio Bucchi
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  di Andrea Morigi A chi ha creduto alle finte profezie dei Maya, e fino a oggi ce l'ha menata con la fine del mondo preannunciata entro il 2012, forse non basta scontrarsi con la realtà dello spettacolo che continua. Se dovessero continuare a dare i numeri apocalittici, si dovrebbe almeno proporre loro di riesumare per coerenza anche l'antico campionato di tlatchtli, cioè la pelota. Da giocatori, però, se ne hanno il coraggio. Saranno utili alcune avvertenze, prima di uniformarsi al calendario sportivo della simpatica popolazione precolombiana dedita allo schiavismo e alle pratiche più disumane. Attualmente alcune comunità messicane consapevoli si limitano a praticarne una versione light, l'ulama, dove non ci si fa troppo male. Invece Oltreoceano, prima della conquista e della successiva evangelizzazione del continente iberoamericano, le gare si concludevano regolarmente con il rituale sacrificio umano degli sconfitti al dio del gioco Xoloti. Il galateo pagano imponeva di strappare loro il cuore dopo averli decapitati per bene. Altro che calcioscommesse. Non si scherzava mica, allora, perché i Maya erano dei fanatici dell'oroscopo e il loro gioco sanguinario ripeteva simbolicamente e ossessivamente il ciclo astrale. Forse per questo motivo, invece di affidarsi alla cartomante come gli scettici più moderni, i Maya disputavano le loro partite su un terreno, a forma di H maiuscola, che rappresentava la terra. Se ne trovano ancora le vestigia, in qualche sito archeologico. Era un campo delimitato da due muri, su ognuno dei quali vi era un anello, nel quale bisognava far passare una palla di gomma, che simboleggiava il sole. Poche regole, ma rigorose. Si poteva colpirla con la testa, i gomiti, i fianchi e le cosce, ma guai a toccarla con le mani o i piedi. Il capitano della squadra che faceva cadere la palla finiva sull'altare, con la testa staccata dal corpo e scorticato per aver impedito al sole di risorgere levandosi dalle tenebre. E i contemporanei consideravano un onore essere smembrati per ragioni di ordine superiore. Si rievocava così, all'infinito e senza la possibilità di sfuggirvi, l'antica leggenda dei gemelli Hunahpú e Ixbalanqué, semidei il cui padre Hun Hunahpú, giocando troppo a lungo a palla con suo fratello Vucub Hunahpú, aveva fatto parecchio chiasso, infastidendo con i suoi rumori molesti gli dèi del mondo sotterraneo, lo Xibalbá, detto «pieno di grandine». Così i nove signori della Notte, che governavano la «casa del freddo» lo avevano decapitato per punizione, come se fossero dei precursori di Rosa e Olindo nell'altro emisfero. Nel mito, tramandato dal Popol Vuh, una sorta di telenovela messicana del 1544, si spiega che intanto però gli spermatozoi del cadavere di Hun erano riusciti a ingravidare una delle figlie degli dei dell'Oltretomba la quale, fuggita, riuscì a dare alla luce Hunahpú e Ixbalanqué. I due gemelli, cresciuti nell'odio per gli assassini del padre, lo vendicarono. Dopo aver ricomposto i resti del suo cadavere seppellito fra gli spalti del terreno di gioco, avevano vinto una partita di tlachtli contro gli dei dello Xibalbá, cacciandoli per sempre dal mondo degli uomini. Fin qui, il racconto da sangue e arena, simile a una squallida vicenda di camorra. Il guaio è che il calendario maya è ciclico, cioè dura un solo anno come lo zodiaco. La storiaccia grand guignol, dunque, sarebbe destinata a ripetersi all'infinito, proprio grazie ai sacrifici umani che dovrebbero impedire l'avvento delle tenebre. Non importa se il Popol Vuh divide il tempo in ere formate da baktun, equivalenti a 144mila giorni l'uno. Secondo i calcoli dello storico dell'arte José Argüelles, particolarmente propenso all'uso dell'acido lisergico, i baktun si limiterebbero a tredici. In realtà i Maya ne prevedevano almeno venti. Quindi anche l'era attuale, iniziata nel 3118 a. C., avrebbe dovuto concludersi il 21 dicembre del 2012, per dare inizio a un nuovo ciclo. L'unica opportunità di sfuggire all'eterno ritorno dell'uguale risiedeva nel trarre lezione dagli errori del passato. Peccato però che, secondo la narrazione della genesi maya, gli uomini siano fatti di mais. Insomma, a dar retta alle finte profezie, c'è il rischio di scoppiare come i pop corn.    

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