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La Catalogna ci prova sul serio:al voto per scappare dall'Europa

Arur Mas, il favorito, promette: "Vinco e faccio referendum per l'autonomia". Se dovesse passare, l'effetto domino potrebbe estendersi in tutto il continente

Matteo Legnani
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di Carlo Nicolato C'è chi sostiene che quelle di domani siano le elezioni più importanti per la Catalogna da 37 anni a questa parte, da quando cioè la Spagna, morto Franco e superata la transizione, è diventata una democrazia. E c'è chi aggiunge che lo scossone che ne deriverà non avrà conseguenze solo per la Spagna, ma anche per l'Europa intera. Certo la posta in gioco è alta, e non si tratta un semplice governo amministrativo, ma dell'indipendenza della regione la cui capitale, Barcellona, da diversi anni considerata locomotiva economica spagnola e una delle città più effervescenti d'Europa, sta pagando il prezzo più alto della crisi economica iberica, con un debito di oltre 44 miliardi di euro, pari al 22% del Pil, e una disoccupazione al 22,5%, di poco inferiore a quella nazionale che attualmente sfiora il 25%. Una crisi ancora più insopportabile per i catalani le cui tasse contribuiscono solo per il 10%  all'amministrazione della Generalitat mentre il resto finisce nella casse di Madrid per essere poi redistribuito alle altre regioni. A questo si aggiunga che la Catalogna è ormai in recessione da maggio e per la fine dell'anno avrà perso almeno l'1,5 per cento della propria ricchezza. Voglia di indipendenza - L'indipendenza non è una strada facile e la Costituzione spagnola nemmeno lo permette, tantomeno prevede un referendum sul tema. Ma Artur Mas, l'attuale capo del governo e leader del gruppo di centro-destra «Convergencia i Uniò» fino a pochi mesi fa alleato dei Popolari e conciliante verso Madrid, ha promesso che se verrà rieletto indirà lo stesso la consultazione e chiederà ai catalani con una domanda semplice e diretta se vorranno l'indipendenza o meno. Lo strappo di Mas e del suo partito aleggiava sull'alleanza da tempo ma si è fatto concreto sull'onda delle proteste popolari, specie dopo la grande manifestazione dell'11 settembre scorso quando un milione e mezzo di persone scesero in piazza a Barcellona per chiedere l'indipendenza. E ora è lui, Artur Mas, il favorito alle elezioni, lui che rischia di prendere da solo la maggioranza dei seggi, ma che insieme agli altri gruppi indipendentisti, quelli storici di sinistra dell'«Esquerra Republicana de Catalunya» e quelli di «Iniciativa per Catalunya Verds», la supererà abbondantemente. Ed è sempre lui, uomo di centro-destra, che potrebbe guidare Barcellona all'indipendenza, tema, fino al suo arrivo, prerogativa dei socialisti che ora si ritrovano superati sia da destra che da sinistra: favorevoli al referendum come espressione di libera scelta, ma contrari allo strappo da Madrid.  La risposta di Rajoy - Del tutto contrari invece sono i Popolari del premier Mariano Rajoy. Contrario è José Maria Aznar, primo ministro dal 1996 al 2004, il quale in un'intervista televisiva ha dichiarato che «mai esisterà una Catalogna unita fuori dalla Spagna». Contrario è il ministro dell'Educazione José Ignacio Wert, che ha addirittura parlato della necessità di «spagnolizzare i catalani». Ma dichiaratamente contraria è anche una parte dell'esercito che è arrivata a chiedere la legge marziale in caso di vittoria degli indipendentisti. E gli industriali della Confindustria spagnola, che hanno stretto un'improbabile alleanza con i sindacati e insieme minacciano di spostare fuori dalla Catalogna le loro imprese. C'è poi anche un appello di illustri economisti e ancora più illustri intellettuali, dallo scrittore Mario Vargas Llosa al regista Pedro Almodovar, che dicono no a qualsiasi idea di indipendenza. E per ultimo la  Commissione europea che  ha precisato che qualunque territorio si dichiari indipendente sarà automaticamente escluso dall'Unione e i suoi cittadini perderanno i diritti europei. C'è tutta la Spagna e l'Europa contro l'indipendenza catalana, ed è anche per questo che loro, i catalani, la vogliono ancora di più.  

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