Maglie: finiamola con la balla del film
di Maria Giovanna Maglie Basta con questa storia del film offensivo, disgustoso: è doppiamente grave e stupido dare la colpa a una patacca di un fenomeno politico, perché nasconde la verità su quanto sta accadendo in Medio Oriente dietro una finta offesa a un credo religioso, e perché calpesta le libertà individuali e civili che l'Occidente si è conquistato a costi altissimi. Che Barack Obama continui a utilizzare il politically correct in ore che richiedono determinazione e coraggio, dimostra solo ulteriormente che alla Casa Bianca siede un dilettante, speriamo ancora per poco; che lo ripetano i governanti europei, le cui politiche miopi hanno armato quella folla e riempito le nostre città di predicatori d'odio e persecutori di donne, dimostra solo ulteriormente che siamo governati da pavidi mediocri. Ma qui non c'è un filmetto in ballo, come non c'erano vignette satiriche in ballo qualche anno fa, né il martirio di Theo Van Gogh riguardava solo lui, tantomeno la vita da recluso condannato a morte in vita riguarda solo Salman Rushdie. Qui c'è la nostra libertà in ballo, e mi ammazzero pure domani, io non intendo sacrificarla lisciando il pelo alla belva. Nessuna linea rossa Non ho visto il famigerato film su Maometto, che quasi sicuramente non esiste, ma se anche esistesse non me ne fregherebbe niente. È una truffa, una provocazione, uno scherzo di cattivo gusto, la vendetta di un cristiano copto, una provocazione del reverendo Terry Jones? Non mi interessa, perché qui è in ballo la libertà d'espressione, sono messi in discussione i miei diritti civili, e la sottile linea rossa che secondo il Fratello musulmano Morsi, presidente d'Egitto, nessuno deve osare oltrepassare quando si tratta del profeta Maometto, io la voglio ignorare. Circola su Internet un pallido e innocuo spezzone amatoriale, neanche due minuti, dal quale forse si deduce che a Maometto piace una donna non abbastanza velata, che scherza con un asinello, poco altro, pare che in altri spezzoni si insinui che il Profeta dell'islam era donnaiolo, ma gli piacevano giovanissime. Mi pare che la moglie prediletta di Maometto sia nella tradizione descritta come impalmata a sette anni, deflorata a nove. Giudicate voi quale aggettivo utilizzare, naturalmente con il senso comune di oggi, ma la tendenza a impalmare la pupa persiste in numerose aree dell'islam, copiando il modello intoccabile. Ma anche se fossero tutte bugie, voglio essere libera di ascoltarle o di non ascoltarle, come ascolto e vedo storie di contestazione feroce del cristianesimo alle quali diamo anche l'etichetta di opera d'arte, da «Jesus Christ superstar» in avanti. Non è una libertà barattabile la libertà d'espressione, nemmeno se fosse vero, ed è una bugia volgare, l'appello al reciproco rispetto. Ieri l'egiziano Morsi lo invocava e Napolitano annuiva. Lo chiedano ai cristiani perseguitati in Egitto, in Sudan, in Nigeria, nei territori palestinesi, lo chiedano ai musulmani convertiti al cristianesimo che vivono come morti viventi, nelle catacombe! La violenza preordinata e organizzata contro obiettivi americani e occidentali nell'anniversario dell'11 Settembre ha una causa e un nome solo, l'aspirazione islamica alla supremazia, il progetto di dominio, il sogno del nuovo califfato; non riguarda una frangia di terroristi, è ampiamente maggioritario in Medio Oriente, insieme a odio e disprezzo per l'Occidente. Guardiamo l'Egitto, ricordiamoci le chiacchiere su Piazza Tahrir, e poi il risultato delle elezioni, stravinte dai Fratelli Musulmani in nome della sharia, non dai moderati e dai laici di cui si riempiono la bocca le cancellerie occidentali, con in più una bella dose di voti ai salafiti. La sharia non è la reazione sdegnata a un film blasfemo e offensivo, è la condanna come blasfema di qualunque critica all'islam e al suo profeta, punibile con la morte. La sharia è legge divina e non umana, proibisce la libertà dell'individuo, condanna a morte gli omosessuali, lapida le donne adultere, frusta chi beva alcolici, bolla una testimonianza femminile perché degna la metà di quella di un uomo. Sono standard inaccettabili, e chi li accetta, chi stoltamente in queste ore condanna le offese ai sentimenti religiosi dei musulmani, come hanno fatto più o meno tutti, a partire da Casa Bianca, Dipartimento di Stato, concede loro una patente di liceità pericolosissima, sputa sui morti, profana il cadavere già devastato di Chris Stevens, il povero ambasciatore sballottato per ore come un trofeo nella notte di Bengasi. Non credo che gli americani siano disposti a rinunciare a quel freedom of speech che è il fondamento della Costituzione del mondo nuovo, che è stato preservato a ogni costo finora. A noi europei qualcuno ci illumini. Gli errori di Barack Barack Obama ha liquidato in due giorni la teoria della «lunga guerra» del suo predecessore. Va detto che è stata una decisione folle, ma accolta con entusiasmo dal suo popolo stanco di guerra e dai riluttanti partner europei, governanti mediamente mediocri. Le conseguenze sono state l'abbandono dell'Iraq all'influenza iraniana; il fallimento in Afghanistan, senza via d'uscita; l'appoggio alla cosiddetta primavera araba che, nata su richieste legittime, la fame in Egitto, la libertà in Tunisia, è stata riempita e occupata dalle organizzazioni fondamentaliste; il contagio nei Paesi arabi i cui governanti tentavano una strada di riforme moderate, il Marocco in testa; la sostituzione di un dittatore infame ma ormai totalmente addomesticato, come Gheddafi, con il caos e la guerra civile. Osama bin Laden è stato ucciso al culmine di un'operazione durata anni, ma al Qaeda è un network, è locale, è europeo. È finita come doveva, non per il trailer di un film che non c'è. Che fare? Non c'è che l'arma economica, se si recupera un po' di cervello. Mohammed Morsi vuole dieci miliardi di dollari per risanare le casse vuote del suo Paese. Ha bisogno del Fondo Monetario e dell'Europa. Non ci venga a raccontare che non è in grado di tenere a bada le folle che escono dalle scuole coraniche. Non si provi a dire, né in inglese né in arabo, che c'è una linea rossa per noi stabilita da quelli come lui.