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Nuovo Egitto fuori di testaVuole abbattere le piramidi

I salafiti si appellano al presidente Mursi: sono simboli del paganesimo, vanno distrutte

Matteo Legnani
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  Sarà opportuno sbrigarsi a visitare le Piramidi, prima che i neo-iconoclasti islamici le demoliscano. Sono un simbolo del paganesimo, tuona lo sceicco saudita Ali Bin Said Al Rabi'i, il quale ormai, oltre a indossare il paraocchi sharaitico, è così abituato agli orizzonti desertici da non tollerare ostacoli di sorta nel proprio campo visivo. Preoccupa semmai il progetto del partito salafita La Luce, che alle ultime elezioni ha ottenuto il 20% dei voti e risulta diviso in due correnti di pensiero, secondo quanto riporta Raymond Ibrahim su Front Page Magazine: da una parte i falchi che intendono distruggere la testimonianza dell'idolatria pre-islamica e dall'altra le colombe che si limiterebbero a coprire di cera i monumenti funerari dei faraoni. Sfregio alla sfinge - Fra tutti, il più moderato è Abdel Moneim Al Sahat, propugnatore del sequestro delle opere letterarie del romanziere e premio Nobel Naguib Mahfouz e del divieto di giocare a calcio perché «distrae i musulmani dal rendere culto a Dio». Sul fronte opposto, si schiera il presidente di Unità Nazionale, Abd Al Latif al Mahmoud, che invita il presidente della Repubblica Mohammed Mursi a «distruggere le Piramidi e compiere quanto non riuscì ad Amr Bin Al As». Messaggio criptico, riferito a quel compagno di Maometto che, dopo aver invaso e conquistato l'Egitto, riuscì a incenerire un'immensa mole di testimonianze del passato, compresa forse la biblioteca di Alessandria su ordine del califfo Omar. Successivamente, intorno al 1380, Mohammed Saim Al Dahr si scagliò contro la Sfinge, ma non è certo se l'asportazione del naso sia opera sua o di altri suoi emuli, appassionati di tiro a segno. Di certo, la famosa scultura della creatura mitica, adagiata a Giza, ora rischia molto più che nel Medioevo. Per una questione di prestigio, i successori dei Mammalucchi non vorrebbero dimostrarsi da meno dei loro illustri predecessori. Inoltre, vorrebbero imitare i talebani afghani che polverizzarono le statue dei Buddha di Banyam e sono in competizione con gli Ansar al Dine, i Difensori della fede che recentemente hanno distrutto i mausolei del Mali e le tombe di Timbuktu. Tanto, al museo delle antichità egizie della capitale, potrebbero benissimo decidere di sostituire sarcofaghi e mummie con donne in burqa. La differenza non è apprezzabile. E, comunque, come ha dichiarato recentemente il leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Akef, «al diavolo l'Egitto», se si trattasse di subordinare l'islam agli interessi della nazione. Ma nemmeno al Cairo possono permettersi di trascurare l'impatto sul settore del turismo, dal quale annualmente si riversano nelle asfittiche casse della Repubblica egiziana una ventina di miliardi di dollari. Eppure sorgono già alcune riserve etiche anche sul business delle vacanze, benché dia lavoro ad almeno 3 milioni di persone. Spiagge separate - Per promuovere un turismo coranicamente corretto e religiosamente sostenibile, c'è chi propone di separare le spiagge: da una parte gli uomini, dall'altra le donne, rigorosamente segregate. Niente alcol e basta con la musica e i divertimenti anche per gli ospiti stranieri. Della vigilanza si incaricherebbe la “polizia morale”, che altri fondamentalisti recentemente hanno proposto d'istituire. Sharm El Sheikh e le località  della costa occidentale del Mar Rosso, a quel punto, potrebbero chiudere definitivamente i battenti e magari cospargersi di cera in attesa di stagioni migliori. A meno che, come pare sia accaduto a molti archeologi occidentali, non si abbatta sui nuovi faraoni egiziani una nuova e più efficace maledizione di Tutankhamon. di Andrea Morigi  

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