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La spending review di Letta è solo una barzelletta

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I tagli agli sprechi della Casta nascondono una pioggia di promozioni inutili, incarichi costosi e regalie. La mangiatoia pubblica è sempre aperta

Andrea Tempestini
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«Renzi incalza Letta» titolava ieri a tutta pagina il quotidiano La Repubblica. In pratica, una non notizia, perché si sa da un pezzo che il sindaco di Firenze è impaziente di prendere il posto del presidente del Consiglio. In attesa però di far sloggiare il premier da Palazzo Chigi, il neo segretario del Pd è riuscito a far alloggiare uno dei suoi nelle stanze di governo. Il 27 dicembre, insieme con il cosiddetto decreto «Salva Roma», il Consiglio dei ministri ha nominato il nuovo direttore generale dell'Agenzia nazionale giovani, organismo  pubblico che - apprendiamo dal sito di governo - è dotato di autonomia organizzativa e finanziaria. E chi è il fortunato cui toccherà guidare l'Ang?  Si tratta di un giovanotto di 37 anni, tal Giacomo D'Arrigo, che nel suo curriculum può vantare oltre a un passato di consigliere comunale di Nizza di Sicilia, provincia di Messina (poco più di 3 mila abitanti), un presente da vice presidente di Big Bang Sicilia, fondazione vicina a Matteo Renzi.  Lo stipendio del nuovo burocrate pubblico a quanto dicono i ben informati dovrebbe essere di 160 mila euro annui lordi, cui si sommano gli oneri riflessi della pubblica amministrazione. Ma c'era proprio bisogno di nominare un nuovo dirigente prendendolo dall'esterno e cioè non fra le migliaia di dipendenti dello Stato?  Possibile che nessuno degli alti papaveri che sono senza incarico all'interno dei ministeri non fosse in grado di dirigere l'Agenzia nazionale Giovani? Da quel che risulta, l'incarico non è particolarmente gravoso né richiede specifiche competenze. In base allo statuto, l'ente - che dipende dal ministro Kyenge -  ha il compito di promuovere la cittadinanza attiva dei giovani e la loro cittadinanza europea, sviluppa la solidarietà e promuove la tolleranza fra i giovani,  favorisce la conoscenza e la comprensione e l'integrazione culturale tra giovani di Paesi diversi, eccetera eccetera. Insomma, un baraccone di cui non si sentiva particolarmente l'urgenza. Di certo, non si sentiva l'indifferibile bisogno di una nomina come quella decisa a ridosso del Capodanno. Se questo è l'inizio del nuovo corso, soprattutto della nuova spending review, stiamo freschi.  Proprio ieri, il Corriere della Sera riferiva che nonostante le promesse di contenimento dei costi della pubblica amministrazione e nonostante sia stato nominato un supercommissario con il compito di tagliare le spese (costo annuo del nuovo stipendio da pagare 300 mila euro), il governo Letta pochi giorni prima di Natale ha nominato 22 nuovi prefetti, molti dei quali destinati a rimanere senza incarico perché i prefetti sono già in sovrannumero.  Con le nuove nomine infatti si è raggiunta quota 207, il doppio del numero di prefetture esistenti, che sono 105. I nuovi dirigenti resteranno dunque senza incarico ma con lo stipendio da prefetti, che ovviamente è superiore a quello di funzionario semplice. Perché tante nomine?  Mistero. Il quotidiano cattolico che ha rivelato la vicenda rilanciata dal Corriere si limita ad annotare che mentre negli ospedali mancano i medici, al Viminale abbondano i rappresentanti dello Stato in attesa di rappresentare lo Stato nelle province italiane. In pratica, nei ministeri si sciala, nelle corsie si tira la cinghia. E a proposito di sciali e tagli pubblici, poche settimane fa il presidente del consiglio aveva annunciato con un tweet  l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, togliendo in un sol colpo l'argomento principe su cui Beppe Grillo costruisce le sue invettive e soffiando a Matteo Renzi la possibilità di rinunciare al contributo dello stato come esempio di svolta del nuovo corso Pd.  Tutto bene, dunque? No, per nulla. Dopo giorni di attesa, finalmente il decreto ha visto la luce sulla Gazzetta ufficiale e si scopre che alla fine i partiti continueranno a godere del sostentamento a carico dei cittadini. I quali è vero avranno la possibilità - sempre che lo desiderino - di devolvere il due per mille delle loro tasse, ma in conclusione tutto confluirà nel calderone pubblico e sarà lo Stato a distribuire il contributo, suddividendolo in base ai voti. In totale, ai diversi gruppi politici arriveranno comunque 60 milioni l'anno, non pochi per un finanziamento che non dovrebbe esserci più. Fino a ieri avevamo la sensazione che la mangiatoia pubblica fosse in funzione, ma oggi - dopo le nomine di alti dirigenti dello Stato per agenzie di cui non sentivamo la mancanza, di prefetti che non mancavano e dopo la scoperta che continueremo a pagare i partiti - ne abbiamo la certezza. La spending review tanto attesa è una barzelletta. Altro che la lotta agli sprechi: qui c'è il Letta degli sprechi.   Ps. Franco Bechis ha trovato altre due perle del governo: finanziamenti a sinti e rom per la diffusione di Cd musicali, i famosi «Cd rom», e quasi 40 mila euro spesi per un documentario sui trans. Tutto politicamente corretto come potrete leggere a pagina 4 e 5. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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