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Le lacrime della Forneroci sono costate 10 miliardi

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Tanto ha messo fino a ora lo Stato per tamponare il pasticcio degli esodati. Ma pure l'altro «tecnico» Saccomanni è da buttare: con lui lavoro e ricchezza sono crollati

Matteo Legnani
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Sono passati due anni da quando l'allora ministro del Lavoro Elsa Fornero annunciò tra le lacrime la riforma delle pensioni. Per volere dell'Europa, che chiedeva di ritardare il ritiro dal lavoro allo scopo di mettere in sicurezza i conti del'Inps, l'età richiesta per ottenere l'assegno previdenziale passò in una sera da 59 a 67 anni: un colpo per centinaia di migliaia di lavoratori che, giunti a un passo dall'agognata meta, furono costretti a cambiare i piani di una vita. Non si sa quanti risparmi abbia portato all'Inps la riforma Fornero: gli esperti dicono che i vantaggi li vedremo in futuro, cioè tra una decina di anni. Sta di fatto che gli effetti collaterali li vediamo ogni giorno con il problema degli esodati, ovvero di quei dipendenti che sono rimasti senza lavoro e senza pensione, in una specie di limbo creato dall'aumento dell'età lavorativa senza tener conto degli accordi aziendali già sottoscritti. Il governo ha stimato che, per mettere una toppa al problema degli esodati, ad oggi si siano spesi 10 miliardi, una cifra enorme, che da sola basterebbe a coprire metà manovra di fine anno. Tutto ciò a dimostrazione, se ancora ci fosse chi nutre dubbi, che peggio dei politici ci sono solo i tecnici, come appunto la professoressa esperta di sistemi previdenziali a cui Mario Monti volle affidare il welfare. Tuttavia, se alla guida del ministero del Lavoro Elsa Fornero non è rimpianta, niente di meglio si può dire di Fabrizio Saccomanni, l'ineffabile responsabile dell'Economia nel governo delle larghe intese. Dopo una vita trascorsa nelle retrovie delle istituzioni finanziarie, il ministro che ha sostituito Vittorio Grilli ha scoperto il piacere della notorietà, per cui non solo si fa spesso prendere dalla smania di dichiarare, ma non rinuncia a scrivere lettere ai giornali. L'ultima l'ha spedita a L'Espresso.  A quanto pare Saccomanni si è indispettito per le critiche di un collaboratore del settimanale debenedettiano, il professor Luigi Zingales. Il docente aveva bacchettato il ministro, scrivendo che se non era in grado di dare una sterzata all'economia del Paese forse era il caso che si facesse da parte. Apriti o cielo. Saccomanni ha preso carta e penna e ha tirato le orecchie all'economista con cattedra negli Usa. «Anch'io ho studiato a  Princeton», si è lamentato, «ma le ricette che piacciono ai professori americani qui da noi non sono semplici e facili da fare come lei e tanti altri attenti osservatori esterni  delle cose italiane sembrano ritenere». E, dopo aver paragonato Zingales ad Alberto Sordi nel film Un americano a Roma, si è prodotto in un'accorata difesa del proprio operato, ricordando l'abolizione dell'Imu (provvedimento a cui lui si è strenuamente opposto), il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, gli ecobonus, il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione.  Sette mesi dunque positivi secondo Saccomanni, che avrebbero permesso all'Italia di «agganciare la ripresa globale», consentendo al ministro di dire «che il trimestre in corso segnerà una ripresa, per la prima volta dopo due anni», con l'aumento  della produzione industriale, delle esportazioni e delle importazioni. Insomma, altro che le lezioncine americane di Zingales, secondo il responsabile dell'Economia qui le cose vanno, se non a gonfie vele, almeno meglio. Sarà, ma noi ci permettiamo di dubitare, perché a differenza di quanto sostenuto dal governo il Pil continua ad avere un meno davanti e il solo più registrato è quello che riguarda il numero di disoccupati. Per trovare un aumento dei posti di lavoro bisogna semmai guardare all'America che tanto piace a Zingales, dove, guarda caso applicano proprio le lezioncine a stelle e strisce che Saccomanni invece sembra non apprezzare. Sfortuna vuole, poi, che la lettera con cui il ministro tira le orecchie al professore e rivendica i meriti del governo di cui fa parte sia stata pubblicata proprio nei giorni in cui una statistica europea prevede che nei prossimi quindici anni, grazie alla riduzione delle tasse e alla nascita di nuove imprese, la Gran Bretagna farà un balzo in avanti, superando perfino la Germania.  E noi? Secondo la ricerca, dal nono posto precipiteremo al quindicesimo. Forse sarà vero che abbiamo agganciato la ripresa, come sostiene Saccomanni, ma la sensazione è che siamo agganciati come carrozza di coda di un treno che non guidiamo noi e men che meno Letta e i suoi ministri. di Maurizio Belpietro

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