Tagliano per sprecare ancora
Invece di utilizzare i risparmi per ridurre il cuneo fiscale, il ministro dell'Economia pensa di destinarli alla copertura di altre spese. Una beffa che potrebbe portare all'aumento di altre accise e imposte
Dalla spending review alla spendi di più. Sembra questa la linea del governo, o perlomeno del suo ministro all'Economia Fabrizio Saccomanni, il quale secondo quanto riferisce il Corriere della sera, sarebbe poco convinto della possibilità di usare i fondi provenienti dai tagli della spesa pubblica per finanziare la riduzione del cuneo fiscale. Come è noto, i soldi che il commissario Carlo Cottarelli l'anno prossimo dovrà recuperare tra le pieghe del bilancio dello Stato dovrebbero essere usati per tagliare le tasse sul lavoro, cioè il cosiddetto cuneo fiscale. Questo è l'indirizzo indicato dalla Commissione Bilancio della Camera, che ha approvato recentemente una risoluzione a favore del Fondo che abbassa le imposte in busta paga. Peccato che il superministro responsabile della cassaforte di Stato sia scettico e stia già pensando di dirottare altrove i fondi eventualmente risparmiati. Del resto la formula inserita nella Legge di stabilità è talmente vaga da lasciar spazio a qualsiasi impiego senza che nessuno possa obiettare alcunché. Nel testo infatti si parla di risorse accantonate per «programmi finalizzati al conseguimento di esigenze prioritarie di equità sociale e di impegni inderogabili». Come dire tutto e niente: messa così significa semplicemente che il ministero dell'Economia con il denaro ottenuto dai risparmi di spesa costituirà un tesoretto che poi userà a suo piacimento, non necessariamente per ridurre le tasse. Dunque si potrebbe verificare che i fondi ricavati con la spending review vengano usati per finanziare altre spese non preventivate. In pratica, la scure di Cottarelli colpirà le amministrazioni dello Stato per consentire allo Stato di spendere in altro modo quello che già oggi spende. In altre parole si tratterebbe di una partita di giro, anzi di una presa in giro. La pubblica amministrazione non verrebbe messa a dieta, ma continuerebbe a divorare il denaro dei contribuenti italiani come sempre ha fatto. Un po' come se un obeso invece di attenersi a un rigoroso regime calorico inferiore alla razione quotidiana sostenesse di voler dimagrire non consumando più abbondanti piatti di pasta ma soltanto dolci a volontà. Che l'idea di un fondo taglia tasse stia definitivamente tramontando lo conferma poi un altro dato e cioè il crollo del gettito riscosso da Equitalia, altra fonte destinata a confluire nel nuovo strumento appena inserito nella legge di stabilità. Secondo quanto comunicato giovedì dalla stessa agenzia pubblica di riscossione, gli incassi sono diminuiti del 7 per cento rispetto allo scorso anno. Dai 7,5 miliardi del 2012 si è passati ai 7 dell'anno in corso, che, se confrontati con i risultati del 2011, segnalano un calo di quasi 2 miliardi. Insomma, le cifre che dovevano riempire il salvadanaio da usare per abbassare le imposte si fanno anno dopo anno più ristrette, al punto che le risorse per ridurre il cuneo fiscale sono in gran parte incerte o differite. Tutto ciò significa non solo che il taglio delle tasse è a rischio, ma che grazie ai meccanismi previsti dalla legge di stabilità potrebbe perfino verificarsi che ciò provochi un aumento della tassazione. Ci spieghiamo. Essendo previste delle clausole di salvaguardia, nel caso non siano reperite le risorse per ridurre il cuneo fiscale, il taglio potrebbe essere finanziato con l'aumento di accise o altre imposte. Un paradosso, ma ahinoi tutt'altro che impossibile. In tal caso lo Stato continuerebbe a spendere come prima ma in modo diverso da prima e ai contribuenti resterebbe il conto da pagare. E che conto. Un finale del genere sarebbe non soltanto una beffa nei confronti di chi, tra imprese e lavoratori, ha creduto che fosse davvero possibile una riduzione delle imposte sulla busta paga, ma certificherebbe il totale fallimento del governo Letta, al quale non resterebbe nessuna medaglia da appuntarsi sul petto, se non l'aumento dell'imposizione fiscale, in particolare di quella che grava sui dipendenti, cresciuta del 2,4 per cento nel terzo trimestre del 2013. Tutto ciò a fronte del continuo aumento delle spese degli organi costituzionali. Qualche giorno fa abbiamo raccontato, non smentiti, i veri costi della Presidenza della Repubblica (quasi 350 milioni, tre volte quelli dell'Eliseo, cioè di Hollande e del suo staff), oggi riveliamo il bilancio del Consiglio superiore della magistratura, che anno dopo anno gonfia le sue previsioni di spesa fino a scrivere nero su bianco un aumento del 34 per cento. Che l'organo di autogoverno di una categoria di funzionari pubblici (prestigiosa, ma pur sempre costituita da funzionari pubblici) giunga a costare in dodici mesi oltre 43 milioni forse è un lusso che non ci possiamo permettere. Per questo ci sia consentito di segnalare il tutto al capo dello Stato, che del Csm è il presidente. Tra Quirinale e Csm da lui dipendono direttamente o indirettamente organi che spendono quasi 400 milioni: non sarà il caso di darci un taglio? di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet