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Renzi rottami Cgil e Fiom, oppure è un bluff

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Su economia e lavoro il sindaco può superare il retaggio del Pci. Ma i flirt coi sindacati rossi non promettono nulla di buono

Giulio Bucchi
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«E adesso?», si chiede in copertina l'Espresso. Adesso che Matteo Renzi ha vinto che si fa? Fino a ieri il sindaco di Firenze entusiasmava giornali, intellettuali, economisti e perfino imprenditori, ma ora che ha conquistato la segreteria del Pd e rottamato alcuni dei leader storici della sinistra, ad esempio Massimo D'Alema, che succede? Passati i postumi della sbornia «renzista», l'innamoramento per la sua passione per la bicicletta e la sua avversione per i codazzi (tutta roba studiata a tavolino, con auto e assistenti parcheggiati dietro l'angolo, secondo il Fatto quotidiano) che si fa? Come si cambia la sinistra e il Paese? Oggi il nuovo leader del Partito democratico è atteso all'appuntamento milanese e la sorpresa che si era riservato  per stupire i grillini  gli è stata bruciata dall'alleato-nemico Enrico Letta. Con l'abolizione del finanziamento pubblico il sindaco che aspira a fare il presidente del Consiglio aveva intenzione di fare il botto. Dopo il successo travolgente delle primarie voleva marcare subito la sua segreteria, non solo con le levatacce alle sei di mattina, ma con qualcosa di concreto, qualcosa che lo rendesse subito ben accetto agli occhi degli elettori della sinistra delusi dal Pd e solleticati dal Movimento Cinque Stelle. Invece la mossa a sorpresa del premier, il decreto sul finanziamento pubblico, costringerà Matteo Renzi ha inventarsi qualche cosa d'altro e a trovare una diversa sorpresa.  Già, perché dopo aver vinto, la nuova icona della sinistra ha bisogno di stravincere, cioè di alimentare il suo mito di uomo fuori dal sistema, contro tutto e tutti, in particolar modo contro i suoi compagni, pena essere avvolto nelle spire della routine parlamentare, nei giochi di partito e delle correnti: un posto a Cuperlo, uno a Civati, un paio a Bersani. Insomma, dopo la lottizzazione della segreteria, dopo che più del merito è stata premiata la giovane età (quasi che avere trent'anni faccia premio su tutto, anche sull'inesperienza: così una giovane parlamentare che non ha mai lavorato - o quasi -  si è ritrovata responsabile del lavoro per il partito), il sindaco d'Italia per diventare tale ha bisogno di darsi da fare e di dire qualche cosa di concreto, possibilmente di utile e non solo slogan. I tempi della politica infatti sono implacabili. Non si può aspettare, c'è bisogno di fare in fretta, perché in capo a qualche mese anche il nuovo può ritrovarsi vecchio. E siccome più d'ogni altra cosa, più della legge elettorale, agli italiani interessa il portafogli, cioè il lavoro, le tasse, il futuro proprio e dei propri figli, se si vuole dire qualcosa di nuovo bisogna dirlo sui temi dell'economia. E dunque, rottamato Yoram Gutgeld, consulente di origine israeliana che fino a ieri pareva il guru economico di Renzi (essendo un cinquantenne forse è stato giudicato inadatto: avrebbe alzato la media della segreteria), il nuovo numero uno del Pd per il rilancio del Paese ha arruolato Filippo Taddei, giovane docente di Bologna. Implacabili come sempre, i giornali (tra i quali Libero) sono però andati a rileggersi gli interventi del professore, scoprendo che di nuovo nei suoi suggerimenti c'era ben poco. Il ritorno dell'Imu, generici impegni a tagliare la spesa pubblica, promesse sull'utilizzo dei fondi della spending review, in pratica ciò di cui si discute da un paio d'anni, peccato che il dibattito non abbia prodotto nulla di utile. Così, tra un'intervista e uno slogan, c'è chi ha iniziato a interrogarsi se alla fine Matteo non sia un bluff. Sulla Stampa di Torino Luca Ricolfi l'altro giorno notava che il sindaco di Firenze per vincere le primarie ha annacquato il suo programma, cancellando dalle interviste e dagli interventi le proposte che meno piacciono alla sinistra. Una scelta furba e un po' spregiudicata del nuovo leader per recuperare poi quelle parti che gli avrebbero alienato le simpatie dei compagni o un accantonamento definitivo di certe idee, si chiedeva l'editorialista del quotidiano subalpino? Domanda più che lecita e più che centrale per capire che cosa vuole davvero fare Matteo Renzi. Soprattutto in seguito ai suoi primi passi. Già, perché il leader di quella che doveva essere una sinistra riformista, l'uomo che avrebbe archiviato definitivamente il comunismo (così hanno scritto alcuni adoranti colleghi, manco Renzi fosse l'Obama de' noantri), in realtà negli ultimi tempi non solo ha recuperato i temi cari agli ex Pci, ma iniziato a tessere la tela con la Cgil, arruolando perfino il più duro e puro dei sindacalisti rossi, cioè il leader della Fiom Maurizio Landini, il quale dopo aver visto il sindaco ha dichiarato che su lavoro e diritti la battaglia è comune. Interrogarsi a questo punto è un dovere: come fa il leader più moderno (a parole) a fare una battaglia comune con il sindacalista più conservatore che ci sia? A Renzi la risposta. di Maurizio Belpietro Twitter @BelpietroTweet [email protected]  

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