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Senza Silvio e Bossi è saltato il tappo

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Una volta il Cav e Umberto incanalavano la protesta del ceto medio esasperato, decaduti i due leader del centrodestra avanza la forca

Giulio Bucchi
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Più che dei forconi la politica, intesa come governo e Parlamento, ha paura della forca. Già, perché l'aria che tira è quella. Dopo anni a discutere della Casta, il clima anti Casta si è fatto pesante,  anzi plumbeo, da patibolo, appunto. Se prima  in un bar di Roma il proprietario aveva appeso un cartello con su scritto che il caffè costava il doppio nel caso che il consumatore fosse un onorevole, adesso c'è la sensazione che i baristi siano pronti ad appendere direttamente i parlamentari.  Gli esercenti, come i tassisti, sono un indicatore economico e politico che funziona meglio del Pil e del tasso di disoccupazione. Se si vuole capire come la pensa l'opinione pubblica, è sufficiente sentire loro, che tra un caffè e l'altro, una corsa e l'altra, di opinioni ne ascoltano molte. Nonostante gli allarmi del Viminale e nonostante i giornali li descrivano come dei pericolosi estremisti, la gente sta con i manifestanti che bloccano le città.  Nessuno sa bene i motivi per cui hanno deciso di contestare e nessuno è a conoscenza di che cosa reclamino, ciò nonostante in molti appoggiano la protesta. Perché in fondo piace l'idea di qualcuno che voglia spazzare via tutti, rimandando a casa un'intera classe dirigente. Fa niente che tra i «licenziati» ci sia anche chi a Montecitorio e Palazzo Madama è arrivato da poco più di sei mesi. Per il popolo dei forconi e per chi sta con loro anche un solo giorno da onorevole basta a contrarre l'infezione più grave che ci sia: la poltronite. Quella che agita i manifestanti è una rabbia cieca, che non distingue nessuno e che a nessuno fa sconti. Via tutti, senza scuse e senza appello. È una rivolta contro la politica, il governo, lo Stato, le istituzioni. Una reazione quasi naturale dopo anni di recessione senza speranza. Fra chi ha patito le tasse di Tremonti, quelle di Monti e di Letta, il rigore, Equitalia, la stretta pensionistica e infine la disoccupazione era naturale che ci fosse una reazione di forte protesta. Anzi: semmai c'è da interrogarsi sul perché sia arrivata solo ora. Forse gli italiani sono troppo pazienti? Forse ne hanno viste tante che alla fine in loro prevale l'arte d'arrangiarsi? Sta di fatto che, nonostante l'aumento del carico fiscale, il pasticcio dell'Imu, quello degli esodati e tutto ciò che è successo negli ultimi anni, gli italiani sono rimasti buoni. Non hanno protestato, non si sono ribellati, scendendo in piazza contro le misure economiche del governo. Fino a ieri. Anzi, fino al 9 dicembre, quando dei gruppetti di sconosciuti, sicuramente minoritari, certamente non legati a nessuna grande organizzazione sindacale di lavoratori né di imprenditori, hanno deciso di fare delle manifestazioni. «Cento blocchi contro Letta», abbiamo titolato domenica a tutta pagina sotto la testata. Nel disinteresse generale della grande stampa, noi di Libero abbiamo anticipato quello che sarebbe accaduto di lì a poco e cioè i presidi dei piccoli agricoltori, la rabbia degli ambulanti, la protesta dei padroncini di camion. C'è voluto qualche giorno di manifestazioni, qualche tafferuglio e tante dichiarazioni perché i giornaloni si accorgessero di loro. Adesso però è tutto un fiorire di domande ed analisi. Chi sono? Cosa vogliono? Chi li agita? In realtà non sono nessuno, nel senso che non sono una categoria e non provengono da un solo settore: sono gruppi eterogenei,  con storie ed esperienze diverse. Nemmeno si sa che cosa vogliono, perché non hanno una piattaforma, cioè non pretendono che il governo gli  faccia  lo sconto sulle accise o  riduca il cuneo fiscale:  loro sono contro la classe politica, perché a quella imputano la responsabilità dei loro problemi. E la terza domanda è pure senza risposta: nessuno li agita, non i gruppuscoli di destra che pure ci sono, non i loro leader, che sono sconosciuti e vengono definiti tali solo perché parlano davanti a un microfono, non i grandi interessi economici. La verità è che a stare in piazza o ai bordi di una strada per protesta contro il Palazzo è il ceto medio, quella classe che negli anni scorsi aveva conquistato il benessere, la sicurezza economica e l'indipendenza dalla crisi, e ora si vede ricacciata indietro, insicura e spaventata. Sono i piccoli imprenditori che hanno perso o rischiano di perdere tutto. I liberi professionisti che non riescono più a lavorare, né per la pubblica amministrazione né per i privati, perché di lavoro non ce n'è. Sono gli esodati  a cui era stata promessa una soluzione e invece dopo mesi sono disoccupati senza pensione né impiego. Insomma, sono la gente comune che non ne può più. Sarà per questo che fanno tanta paura? Molta più di quanta ne facciano i quattro scalmanati che periodicamente mettono a ferro e fuoco le città. Questi non sono No Tav, sono No Party, nel senso che non si riconoscono in alcun partito e non vogliono i partiti. Dunque, potenzialmente eversori. Una volta c'erano Berlusconi e Bossi a incanalare la protesta del ceto medio esasperato. Decaduti  i due leader del centrodestra, avanzano i forconi . Anzi, la forca.  di Maurizio Belpietro Twitter @BelpietroTweet [email protected]             

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