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Il governo dalla padella al forcone

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Chi sperava in un cambio di passo dopo le primarie del Pd è rimasto deluso. E, cosa ancora più grave, Letta non ha dato alcuna risposta a chi sta protestando contro l'incapacità della Casta. Non è così che si esce dalla crisi

Ignazio Stagno
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In vista del voto di fiducia di ieri in molti avevano raccomandato a Enrico Letta di dire qualcosa se non di sinistra almeno di concreto. Dagli economisti liberal Francesco Giavazzi e Alberto Alesina per finire all'ex parlamentare dell'Ulivo Michele Salvati , tutti si aspettavano che il presidente del consiglio cogliesse l'occasione di presentare insieme alla nuova maggioranza anche gli impegni con il Parlamento, annunciando provvedimenti e misure su tasse e lavoro. Al contrario, intervenendo a Montecitorio e a Palazzo Madama, il premier è stato, se possibile, ancor più vago di sette mesi fa, quando varò il governo delle larghe intese.  Ieri come ad aprile, Letta ha fatto il suo compitino senza errori,  annunciando una ripresa che non c'è ma che arriverà presto; denunciando un sistema elettorale che non funziona e che bisogna cambiare nel 2014; criticando i costi della politica e dello stato, precisando che si dovranno tagliare l'anno prossimo.  Un discorso in gran parte condivisibile, ricco di belle promesse ma povero di qualsiasi impegno preciso . Quelle del presidente del consiglio sono state parole scritte sull'acqua, sia sul fronte delle riforme (argomento che non è di competenza dell'esecutivo ma del Parlamento), che su quelle della ripresa economica. Dalla bocca del premier sono uscite frasi generiche sulla necessità di investire nell'istruzione e sulla necessità di rifinanziare gli ammortizzatori sociali. Cose risapute, che non mancano ma   in alcun programma di governo, quasi come la lotta all'evasione. Il patto su cui l'esecutivo ha ottenuto ieri la fiducia sia della Camera che del Senato è dunque un guscio vuoto. Altro che impegni per il 2014: qui di fatti concreti non ce n'è uno. Non sulla riforma del mercato del lavoro ( a cui prima o poi si dovrà mettere mano visto che quella fatta da Elsa Fornero non funziona) e nemmeno sul fronte delle tasse o della burocrazia, che pure sono indicati come i principali ostacoli sulla strada della ripresa economica. Incerta è anche l'attuazione del precedente programma di tagli ai costi della politica. Il premier ha parlato di abolizione delle province e di cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti, ma si è ben guardato dallo specificare la data in cui tutto ciò avverrà. Risultato: di certo per ora c'è la distribuzione di azioni delle Poste ai dipendenti e il piano per cedere i pacchetti azionari che lo stato ancora possiede in alcune grandi compagnie. Insomma, il presidente del consiglio ha confermato se non di essere un allievo di Andreotti nel tirare a campare,  di essere un maestro nel tirarla per le lunghe senza arrivare al dunque.  E il dunque è semplice:  si possono cambiare le regole dei contratti di assunzione riportando indietro l'orologio a prima che della materia si  occupasse il governo Monti? Si può rivedere la tassazione sul lavoro, sulla casa e su chiunque apra un'impresa? C'è qualche novità sul fronte della spending review, cioè dei tagli agli sprechi? Ecco. A queste domande Letta non ha dato alcuna risposta. E il fatto è grave per almeno due motivi. Il primo è che, come da promessa, ci saremo attesi un cambio di passo dopo l'elezione del nuovo segretario del Pd. E' vero che Renzi si è insediato da due giorni e non poteva fare miracoli, ma c'era un'occasione a portata di mano per dare un segno di cambiamento. Altro che segreteria di partito fissata alle 7 del mattino o i viaggi in treno:  quelli sono trucchi per chi bada più all'immagine che alla sostanza. Il secondo motivo per cui c'è da preoccuparsi è che il discorso di Letta è caduto in un Parlamento assediato dai forconi. Non tanto a Roma, quanto nel paese. Le proteste di un movimento eterogeneo che pretende di mandare a casa la classe politica non si placano, come abbiamo scritto, schierando il reparto Celere, ma affrontando i problemi di malcontento e disperazione che attraversano intere categorie di piccoli imprenditori. Non è ai gruppi politici riuniti per l'occasione che il presidente del consiglio deve una risposta, ma alla gente riunita per protestare contro l'incapacità della Casta. Letta non può, come invece ha fatto, evocare il caos senza spiegare come intende impedirlo. Lui è preoccupato?  Be', anche noi lo siamo e ancor più dopo il discorso programmatico del capo del governo.  Più che un impegno, la sua è stata una dichiarazione d'impotenza. Non è così che si esce dalla crisi. Semmai  ci si affonda di più. di Maurizio Belpietro [email protected] Twitter @BelpietroTweet

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