Colpo al Colle: Parlamento illegale
Dopo tutti gli sforzi di Napolitano, sono i giudici a certificare il fallimento del suo "presidenzialismo". Ora si rischia un ritorno al passato, col proporzionale
Il governo Letta è morto e sepolto e a tumularlo non sono stati né Berlusconi né Renzi. Mentre tutti si interrogavano sulle prossime mosse del leader di centrodestra e del futuro leader di centrosinistra, la parola fine per l'esecutivo è stata pronunciata dalla Corte costituzionale, la quale con una sentenza a sorpresa ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale. I giudici della Consulta hanno infatti stabilito che sia il premio di maggioranza che le liste bloccate sono illegittimi. Risultato: l'attuale Parlamento è illegale e si deve tornare al più presto alle urne. Non solo: siccome la convalida dell'elezione di un gruppo di deputati eletti proprio grazie al premio di maggioranza non è ancora avvenuta nonostante siano trascorsi quasi dieci mesi dal voto, c'è il rischio che all'esecutivo manchino circa duecento onorevoli, i quali in teoria da oggi non dovrebbero non solo non poter più votare, ma nemmeno accedere al Parlamento. Insomma, un bel pasticcio, che conclude senza appello la stagione delle larghe intese e degli esperimenti istituzionali di Giorgio Napolitano. L'intervento a gamba tesa dei guardiani della costituzione scompagina infatti tutti i giochi del capo dello Stato, il quale in questi mesi si era trasformato in una specie di monarca assoluto dei destini nazionali. Lui decideva delle maggioranze e delle leggi e sempre lui aveva il potere di metter becco sulle riforme. Ma improvvisamente il castello eretto a difesa delle prerogative che da solo si era attribuito è crollato. La sentenza della Consulta pone un punto fermo, accorciando la vita alla legislatura. Se il Parlamento è infatti stato eletto con un sistema elettorale che non rispetta i principi costituzionali non si può fare altro che rieleggerlo in fretta con un altro sistema, trovando una formula che garantisca il volere degli elettori. E dei giudici. E naturalmente qui viene il difficile, perché tutti i sistemi elettorali in vigore nelle democrazie occidentali sono belli, ma nessuno è perfetto. O meglio: nessuno va bene alle nostre forze politiche, le quali ne vorrebbero uno su misura che garantisse loro di poter vincere le elezioni e di farle perdere agli avversari. Ovviamente, nessuna legge elettorale è in grado di assicurare un simile esito. Soprattutto, nessuna formula può andar bene a partiti tanto diversi, che in Parlamento non hanno una maggioranza ma al contrario hanno interessi contrapposti. Che legge si fa se l'attuale coalizione è composta da un grande partito (il Pd) e da due piccoli, uno dei quali a rischio di finire sotto il cinque per cento? I modelli che si possono prendere a prestito in Francia, Germania o in Spagna, cancellerebbero le minoranze per premiare le maggioranze. In pratica Scelta civica e forse anche il Nuovo centrodestra prenderebbero le briciole e il grosso dei parlamentari premierebbe il Pd, Forza Italia e il Movimento Cinque Stelle. Gli altri, a partire da Sel, probabilmente non entrerebbero neppure in Parlamento, congedati da uno sbarramento anti minoranze. Questo per lo meno succederebbe con il sistema in vigore oltralpe che in queste ore pare piacere molto al Partito democratico e sul quale secondo La Repubblica esisterebbe una specie di accordo. Il doppio turno alla francese, dove viene eletto chi ha più voti nel collegio, stravolgerebbe il nostro Parlamento, premiando il Pd e Forza Italia. Un simile meccanismo garantirebbe la governabilità, ma da noi non passerà mai, perché taglierebbe le ali estreme e anche quelle inutili e poi perché ridurrebbe il numero degli italiani che si recano alle urne, in quanto il doppio turno vede sempre diminuita la partecipazione degli elettori. E se ci si lamenta ora perché c'è chi viene eletto grazie al premio di maggioranza, figuratevi dopo, quando con l'eliminazione degli altri candidati al primo turno anche un candidato con solo il venti per cento potrebbe diventare onorevole. Insomma, la decisione della Corte costituzionale non solo seppellisce Letta, le grandi intese e le ambizioni un po' golliste del presidente della Repubblica (oddio: Napolitano che vuole imitare De Gaulle pare una barzelletta), ma ci fa precipitare in una situazione di ingovernabilità, resuscitando gli antichi spettri del passato. Perché se è vero da un lato che il Porcellum era una porcata, è altrettanto vero che si trattava di un sistema che impediva a questo Paese di essere alla mercé dei pentapartiti, degli esecutivi balneari e delle convergenze parallele, ovvero dei peggiori compromessi. Se oggi ci troviamo col debito pubblico più alto d'Europa, il Pil ai minimi e le tasse ai massimi, lo dobbiamo a sessant'anni di elezioni senza vincitori né vinti, dove ognuno prendeva posto al tavolo del potere. Dalle urne uscivano premiati solo gli inciuci: e ora, con la decisione della Consulta, c'è il rischio di un ritorno al passato. Pensavamo di esserci liberati delle coalizioni di governo e rischiamo di trovarci le consociazioni a Palazzo Chigi. Altro che patto di stabilità, qui ci toccherà registrare l'atto di instabilità, ovvero tanti partiti uniti solo dalla spartizione delle poltrone. Come ci impone la Corte costituzionale avremo le preferenze, ma unite al premio di minoranza. Poveri noi. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet