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"Repubblica" è la macchina degli ipocriti

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Il quotidiano debenedettiano chiede al "caro ministro" di dimettersi per sfuggire a chi vuole assimilare le sue telefonate al "ripugnante reato di Berlusconi con Ruby". Peccato che i primi a sputtanarla siano stati proprio Scalfari e i suoi. Il tutto per spianare la strada a Renzi

Giulio Bucchi
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Non so se davvero esista la macchina del fango di cui ogni tanto parlano i politici quando vogliono giustificare il proprio operato e non hanno argomenti per farlo. Di certo però esiste una macchina degli ipocriti che è in piena attività dalle parti del quotidiano Repubblica. Diversamente non si spiegherebbe la faccia tosta con cui ieri il quotidiano diretto da Ezio Mauro ha messo in pagina, in prima pagina, un articolo di Francesco Merlo che fingendo di difendere Annamaria Cancellieri  ne chiedeva le dimissioni. «Caro ministro - scriveva l'editorialista del giornale debenedettiano - le persone perbene come te si devono dimettere anche per non farsi sporcare  dai difensori pelosi che, in questo caso,  esibiscono più pelo delle scimmie quando ti assimilano a Berlusconi e al suo reato di concussione nella vicenda Ruby». Merlo è un bravissimo giornalista, dalla scrittura un po' barocca ma incisiva. Ciò nonostante per difendere “la cara Annamaria”  questa volta si è cimentato in un esercizio di rara abilità contorsionistica, ribaltando i fatti e piegandoli con ipocrisia alla propria causa. Altro che diavolo che sguazza nell'acqua santa, come scrive Repubblica accusando chi nel centrodestra difende il Guardasigilli:  qui si spruzza acqua santa nel tentativo di far passare tutti per santi, anche quelli che hanno qualche peccatuccio da farsi perdonare. Ma stiamo ai fatti prima che Merlo e i suoi colleghi riescano a ribaltarli. Il 31 ottobre  Repubblica pubblica in esclusiva la notizia che il ministro della Giustizia è stato intercettato a sua insaputa mentre parlava al telefono con la compagna di Salvatore Ligresti. L'ingegnere è agli arresti domiciliari e le figlie sono in carcere quando Annamaria Cancellieri chiama per esprimere la propria solidarietà. Si tratta di un colloquio di pochi minuti, in cui il Guardasigilli, cioè il vertice politico che rappresenta la giustizia, dice di essere pronta ad aiutare la famiglia: «Non fate complimenti perché non è giusto, non è giusto». Frasi di circostanza fra persone che si conoscono da anni? Così potrebbe sembrare a prima vista, ma Repubblica tiene a far sapere che il ministro è stato poi chiamato direttamente dal fratello del finanziere siciliano affinché facesse qualcosa per Giulia, la figlia di Ligresti che soffre di anoressia. E qualcosa «la cara Annamaria» fa: coinvolge due vicedirettori del Dipartimento amministrazione penitenziaria, cioè i vertici delle carceri. «Il 28 agosto - scrive Ottavia Grisetti,  autrice dello scoop del quotidiano debenenettiano - dopo che il ministro si è interessata della sua situazione in cella, finalmente Giulia vede aprirsi le porte del carcere».  Di più: secondo Repubblica attorno al caso della figlia di Salvatore «succedono fatti inconsueti», come ad esempio un referto inviato per fax alla Procura di Torino dalle psicologhe del penitenziario dove Giulia è reclusa. Nessuno lo ha richiesto, ma il certificato segnala l'incompatibilità delle condizioni di salute di Giulia Ligresti con la detenzione. E questo - annota il giornale - «obbliga i pm a nominare un medico legale»,  il quale «fa in modo che in pochi giorni vengano concessi i domiciliari». Così - primo fra tutti - scriveva il 31 ottobre il quotidiano per cui lavora Merlo. Il giorno dopo si rincarava la dose, rivoltando come un calzino il Guardasigilli. Titolo «Le telefonate della Cancellieri. Ai Ligresti: Contate su di me. Bufera sul ministro: chiarirò in Parlamento. Pd, Sel e 5Stelle contestano l'intervento del Guardasigilli che fece scarcerare Giulia».  Dunque «chi attribuisce al ministro lo stesso ripugnante reato che ha commesso Berlusconi, imbrattando il Guardasigilli per ripulire in tal modo il Cavaliere», come chiedeva ieri Merlo? Risposta facile: Repubblica. Che infatti lo stesso giorno, sotto il titolo «Le conseguenze» scriveva che la «Cara Annamaria» aveva il dovere di sloggiare, per non aver detto ai Ligresti «Ho dei doveri di stato», una mancanza che imbarazza le istituzioni.  È Repubblica a non credere alle buone intenzioni del ministro, a insinuare il sospetto che il Guardasigilli invece di essere a disposizione dell'Italia fosse a disposizione dei Ligresti. È Massimo Giannini, vicedirettore del quotidiano di Ezio Mauro, a parlare il 3 novembre di «una zona grigia che rende inquietante la vicenda Cancellieri-Ligresti e svela la natura compromissoria e forse compromessa del potere», mentre lo stesso giorno Michele Serra punta il dito contro la superliquidazione che il figlio della Cancellieri ha ricevuto dai Ligresti.  E ieri, poche ore prima che Annamaria Cancellieri si presentasse in Parlamento a riferire del caso Ligresti dichiarando di voler restare incollata alla poltrona, sulle stesse pagine in cui Merlo chiedeva le dimissioni del ministro difendendola e accusando il centrodestra di strumentalizzarla, Repubblicarivelava i sospetti di altri favori ai Ligresti, come ad esempio il trasferimento della primogenita dell'ingegnere deciso sempre dal Dap di Roma, cioè dal dipartimento che dipende dalla Cancellieri. Naturalmente è facile comprendere le ragioni di tanta insistenza contro il Guardasigilli: il quotidiano debenedettiano è impegnato a sostenere Matteo Renzi e vuole al più presto liquidare il governo Letta e le larghe intese. Dunque,  far dimettere «la Cara Annamaria», cioè l'anello debole, è un modo per affrettare la caduta dell'esecutivo in quanto la maggioranza difficilmente reggerebbe a un rimpasto. Tuttavia, se da un lato sono comprensibili i giochetti di Repubblica, un quotidiano che ha sempre tentato di influenzare quando non di dettare la linea della sinistra, ciò che risulta insopportabile è il gioco degli specchi deformati usato per ribaltare la verità. Nel caso Cancellieri non esiste - ammesso e non concesso che sia mai esistita - una macchina del fango: c'è una macchina del falso. Un marchingegno messo in funzione da persone che sullo stomaco hanno una pelliccia. E che gli assassini politici, dopo averli compiuti, sono abituati ad attribuirli agli altri.     di Maurizio Belpietro Twitter @BelpietroTweet  

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