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O il ministro se ne va o si cambia la legge

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Napolitano, governo e giudici decidano: se telefonare per far liberare una persona non è concussione, allora non lo è neppure l'intervento di Berlusconi su Ruby

Giulio Bucchi
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Come è umano il ministro della Giustizia. A chi le chiede conto del suo intervento a favore di Giulia Ligresti, detenuta in custodia cautelare e a grave rischio per le sue condizioni di salute, Anna Maria Cancellieri risponde che il suo è stato un intervento umanitario. Un'amica l'ha sollecitata per telefono e lei, che con la famiglia dell'ingegnere di Paternò intrattiene rapporti da circa quarant'anni, non ha esitato a muoversi, intervenendo direttamente sui direttori del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. «L'ho fatto in almeno un altro centinaio di casi», ha detto dalla tribuna del congresso radicale, anticipando un po' la tesi che sosterrà nei prossimi giorni in Parlamento, dove è  stata invitata a intervenire per chiarire la sua posizione. Tuttavia, da quel che si capisce, forte della protezione del Quirinale, il ministro si sta nascondendo dietro a un dito. Nessuno vuole sapere quanti detenuti si siano rivolti al ministero per segnalare le loro condizioni di prigionieri. E nessuno crediamo sia interessato a conoscere in quali occasioni gli uffici di largo Arenula si siano attivati per far presente ai direttori delle carceri i disagi dei detenuti. Ciò che si intende approfondire è se ci siano altri casi di interventi diretti sul Guardasigilli e di convocazioni dei direttori del Dap. Cioè:  la Cancellieri ha l'abitudine di lasciare il suo numero di cellulare nelle portinerie dei penitenziari affinché i detenuti che ne hanno bisogno la chiamino senza indugio? Il suo telefonino viene fornito insieme con la dotazione della cella a chiunque ne faccia richiesta appena messo piede nel reclusorio? Confessiamo che, nonostante la sua aria da brava nonna preoccupata della salute dei propri nipoti, facciamo fatica a immaginare il ministro della Giustizia come una specie di telefono azzurro dei galeotti, anzi di telefono a sbarre. Dunque le giustificazioni addotte e quelle che presumiamo verranno rappresentate nei prossimi giorni, appaiono come tentativi di insabbiare la faccenda Ligresti più che degli sforzi per chiarire quanto è successo. Come abbiamo scritto nei giorni scorsi, nel caso in questione siamo di fronte a un intervento al di fuori della procedura. Le regole infatti richiedono che un detenuto che per gravi motivi di salute voglia chiedere la scarcerazione debba farlo per tramite dei suoi avvocati, rivolgendosi al giudice preposto. Nel caso che ha coinvolto il ministro Cancellieri invece siamo di fronte a una sollecitazione diretta fatta sul telefonino del Guardasigilli da un famigliare e a un intervento altrettanto diretto del ministro sui funzionari del Dap. Qualcuno dice che Giulia Ligresti sarebbe stata rilasciata indipendentemente dall'intervento del ministro, perché le sue condizioni di salute erano davvero preoccupanti. E pur solidarizzando con la figlia dell'ex proprietario della Fondiaria-Sai, che conosciamo e che non avremmo mai voluto vedere in cella, non possiamo non notare che ai fini di legge il risultato è ininfluente. In termini molto scarni infatti il nocciolo della questione è il seguente: può un ministro intervenire sul trattamento di un detenuto in custodia cautelare, saltando l'iter burocratico cui sono costretti i normali cittadini per far valere i propri diritti? Se la risposta è sì, se cioè l'organo politico può agire bypassando l'autorità giudiziaria, il Guardasigilli fa bene a restare al proprio posto e a non dimettersi: significa che davvero le ragioni umanitarie e quelle della politica stanno un gradino sopra le altre. Come vede, tralasciamo la questione della super liquidazione che il figlio del ministro ha ricevuto dalle società dei Ligresti. Tuttavia, se un ministro può intervenire e segnalare le condizioni particolari di un arrestato senza che ciò desti turbamento né un illecito, allora bisogna anche decidere come ci comportiamo quando un presidente del Consiglio fa una telefonata per richiedere un occhio di riguardo nei confronti di una persona che non è neppure in stato di fermo. Insomma, questo Paese, questo governo, questa magistratura e, perché no, anche questo capo dello Stato, devono adottare una volta per tutte un'identica linea di condotta. O è reato chiamare i funzionari per ottenere la liberazione di una persona o non lo è. O c'è la concussione per induzione, cioè per il solo fatto che il concussore mette in campo la propria autorevolezza senza per altro minacciare ritorsioni, oppure non c'è. Non ci possono essere due pesi e due misure. Soprattutto non ci può essere una condanna e neppure il sospetto che qualcuno abbia abusato del proprio potere sollecitando attenzione nei confronti di una persona. Dunque caro ministro, si decida: o si dimette o cambia la legge sulla concussione per evitare spiacevoli equivoci e, soprattutto, spiacevoli condanne a sette anni di carcere. di Maurizio Belpietro Twitter @BelpietroTweet [email protected]

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