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L'ultima spallata per andare al voto

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Il Cav ha accelerato gli eventi dopo l'iniziativa di Napolitano, che aveva convocato la maggioranza per dettare la linea sulla legge elettorale e allontanare la data delle elezioni. Ora punta tutto sulle urne anticipate, giocando di sponda con Renzi e Grillo

Andrea Tempestini
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Silvio Berlusconi aveva già deciso da almeno una settimana di azzerare tutto e di regolare i conti con l'ala ministeriale del Pdl. Giovedì scorso aveva convocato Angelino Alfano per chiedergli le dimissioni da segretario del Popolo della libertà, ma poi durante il pranzo con i ministri non era stato così perentorio, lasciando sì capire di voler cambiare l'organigramma del partito, ma senza fretta e comunque senza puntare sulla caduta del governo. Che cosa ha fatto precipitare la situazione, spingendo giovedì il Cavaliere a convocare con poco preavviso il consiglio nazionale e annunciare il passaggio a Forza Italia, mentre il Corriere della Sera della mattina riferiva che il progetto era stato accantonato? La domanda se la sono fatta in molti ieri, ma pochi sono riusciti a trovare la risposta. È noto che Berlusconi di questi tempi cambia spesso umore e pareri, ma c'è qualcosa che lo ha indotto a rompere gli indugi e non si tratta solo dei suoi guai personali. Ovvio, il rinvio a giudizio per la presunta compravendita del senatore Sergio De Gregorio lo ha scosso e lo ha convinto ancora di più che intorno a lui si sta per serrare la tenaglia giudiziaria. Milano, Napoli, Bari: le Procure sembrano aver fretta di infliggergli il colpo finale. E la questione della decadenza da senatore che pende come un cappio a Palazzo Madama e rischia di essere votata entro poche settimane non contribuisce certo a rasserenargli l'animo. Ciò nonostante, abbiamo la sensazione che a indurre il Cavaliere a fare il gran passo, anche a rischio di rompere il partito, sia stata una mossa improvvisa del Quirinale. Giovedì Giorgio Napolitano ha fatto un'insolita riunione sul Colle, con ministri e esponenti di partito, gettando le basi per la riforma elettorale e imponendo tempi strettissimi per l'approvazione delle nuove regole. Non si era mai visto un capo dello Stato che si mettesse a riscrivere le regole per eleggere il Parlamento: un presidente può sollecitare, magari anche inviare un messaggio alle Camere come ha fatto sul tema dell'amnistia, ma riunire le forze politiche per dettar loro l'agenda è altra cosa. La legge elettorale è affare del Parlamento, cioè dei giocatori, non dell'arbitro.  Perché dunque Napolitano si è mosso su un terreno non suo?  Probabilmente perché togliendo al più presto di mezzo la legge elettorale, cioè abolendo il Porcellum, si toglie anche uno dei punti di forza di chi vuole mandare a casa Letta e tornare a votare. Parliamoci chiaro: in Parlamento sono più quelli che vogliono far cadere il governo di quelli che lo vogliono sostenere.  Non c'è solo Berlusconi a volere il voto: c'è anche Grillo, che spera di guadagnare qualche consenso dalla crisi di Pdl e Pd, ma soprattutto sogna di rispedire dove li ha presi i grillini dubbiosi. Inoltre c'è  Renzi, il quale corre sì per la segreteria del Pd ma con l'intenzione di prendersi Palazzo Chigi e dunque prima si libera di Letta e meglio è. A tutti questi signori, Berlusconi, Grillo, Renzi, la legge elettorale sta bene così com'è e non hanno nessuna intenzione di cambiarla.  Cancellandola però si cancella anche la possibilità di tornare a votare in fretta, perché per la maggioranza silenziosa che punta sulle urne le elezioni non sarebbero più così convenienti. Insomma: il Cavaliere l'altra sera deve aver fatto due conti e soprattutto deve aver pensato che dopo averlo illuso sulla grazia, Napolitano stava per fregarlo anche sulla legge elettorale e dunque ha ingranato la marcia per cambiare tutto, partito e scenario.  Risultato: Berlusconi torna a scommettere sulle elezioni, punta sulle ambizioni di Renzi (convocando il consiglio nazionale nello stesso giorno in cui il Pd fa le primarie) e spera di dare la spallata a Letta. Dopo di che, e siamo alla fase due, in base alla legge Severino lui non potrà candidarsi, e dunque sarà costretto a scegliere il suo delfino, che non sarà Alfano ma la figlia Marina, che si dice abbia già preparato il discorso d'investitura: la sua sarebbe una discesa in campo a tempo, cioè per consentire al genitore di riorganizzare le truppe e di sparigliare ancora una volta i giochi, come spesso ha fatto in questi anni. Fantasie? Può darsi, ma quando c'è di mezzo il Cavaliere l'incredibile spesso diventa credibile. Ciò detto, che succede ad Alfano e alla truppa ministeriale del Pdl? Il percorso del ministro dell'Interno è stretto e pericoloso. Se rompe definitivamente con Berlusconi rischia di vedersi appiccicata addosso per sempre l'etichetta di traditore e poltronista, un marchio infamante che non gli porterebbe fortuna ma lo farebbe finire assieme ai tanti che si sono staccati dal centrodestra. Ma se rimane, se cioè alla fine china il capo e recita la parte della pecorella smarrita, finisce peggio. Dunque Alfano deve inventarsi una terza via, star fuori da Forza Italia ma senza esser fatto fuori. Dire addio al Cavaliere ma senza passare per nemico del Cavaliere. Anche questa è un'operazione ai limiti dell'incredibile. Perché la prima prova sarà il voto su Berlusconi  e Angelino non può permettersi il lusso di apparire complice del Pd. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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