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Il giudice ha più buon senso dello Stato

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Braccare i contribuenti con una sorta di Gestapo fiscale è illogico: le aziende muoiono stritolate dalle tasse e l'erario stesso si ritrova con meno fonti alle quali attingere. C'è voluto un tribunale per indicare la via: più tolleranza, come in Europa

Andrea Tempestini
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C'è un giudice a Milano che ha mandato libero un imprenditore che non pagava l'Iva. «Il fatto non costituisce reato» ha sentenziato fra lo stupore di tutti e per primo dell'imputato. Secondo il magistrato, il titolare dell'azienda informatica che l'agenzia delle entrate aveva portato in giudizio non aveva cercato di evadere le tasse: semplicemente non le aveva pagate. L'uomo non aveva tenuto una doppia fatturazione e nemmeno si era dimenticato di ottemperare agli adempimenti fiscali. Tuttavia giunto il momento di presentarsi allo sportello e versare il dovuto aveva dichiarato di non essere in grado di farlo a causa della crisi. Non c'era nero nella sua azienda, ma solo il rosso dei bilanci e così il tribunale gli ha dato ragione. Ora la sentenza a qualcuno potrà apparire un tantino originale, perché se le imposte erano dovute e non sono state saldate, per il senso comune significa che l'imprenditore non ha pagato le tasse e dunque va marchiato con l'orrenda fama di contribuente infedele. In realtà la decisione del Tribunale di Milano prende atto di una situazione che è sotto gli occhi di chiunque voglia vederla: a causa della crisi troppi imprenditori non sono in grado di rispettare le scadenze con il Fisco, per cui sono costretti a scegliere se proseguire l'attività oppure corrispondere fino all'ultimo euro di Iva, Irap, Tares e tanti altri simpatici acronimi che lo stato si è inventato allo scopo di drenare quattrini agli italiani e alle imprese.  Che fare? Si fa fronte alle scadenze sottraendo anche gli ultimi spiccioli all'azienda che già fatica o si salda il corrispettivo all'erario e il giorno dopo si tira giù la claire?  Il buon senso imporrebbe la prima soluzione, ma come si sa il buon senso  non trova ospitalità dalle parti del ministero dell'Economia e in genere della burocrazia italiana. Dunque, a costo di condannare a morte certa l'impresa, il Fisco reclama la sua parte e se non la ottiene si rivolge ai Tribunali. Non è la prima volta però che nelle aule di giustizia invece di arrivare la scontata condanna dell'evasore per necessità (la definizione è di Attilio Befera, il gran capo di Equitalia), arriva l'assoluzione, quasi che non pagare le tasse sia da considerarsi una legittima difesa. Negli altri casi però si era trattato di poca cosa, cioè di qualche migliaio di euro non corrisposto, stavolta la cifra è di tutto rispetto: 180 mila euro, una somma che da sola basterebbe a comprare un appartamento o a finanziare un'azienda.  C'è da festeggiare, dunque, dato che la giurisprudenza per una volta si schiera a fianco del contribuente e non contro? In teoria sì, in pratica no. Infatti, alla buona notizia che arriva da Palazzo di giustizia se ne aggiunge una di segno opposto, che toglie ogni speranza. Dalle parti del governo e dell'agenzia delle entrate ancora si rifiutano di spalmare i debiti che le società hanno nei confronti del fisco. Invece di prendere atto che la crisi ha impoverito tantissime aziende, le quali faticano a tirare avanti e andrebbero dunque agevolate per consentire loro di poter continuare l'attività e riprendersi, il Fisco, spalleggiato dal ministro Saccomanni, fa il gradasso: vuole tutto e subito. Qualsiasi persona con un grammo di cervello capirebbe che per un agente delle tasse l'importante è che l'azienda paghi non che rispetti alla lettera le scadenze. Se le rispetta, ma dopo tira le cuoia ha perso un pagatore e se, a causa delle sue pretese, fallisce senza neppure pagare è anche peggio. Nei momenti di difficoltà le dilazioni delle rate fiscali dovrebbero essere la regola, anzi, dovrebbero far parte di una seria contrattazione fra società e amministrazione statale, come accade in altri paesi. E invece no. Chi non paga è inseguito dalle ingiunzioni, minacciato dalle ganasce fiscali, vessato da un sistema che rasenta l'usura e moltiplica penali e tasse manco fosse un flipper. La pressione fiscale è la più alta d'Europa (siamo al 44 per cento secondo le statistiche) e quella per costringere i contribuenti a pagare anche.  Non chiediamo un volto umano del Fisco e nemmeno quello amico. Ci basterebbe che anche da noi si applicassero le regole europee, cioè ci si adeguasse allo stile e ai metodi degli altri Paesi, rinunciando a far vestire agli agenti dell'erario i panni della Gestapo delle tasse. È chiedere troppo al nostro governo? L'unificazione con l'Europa la dobbiamo fare solo per le cose peggiori, come ad esempio i vincoli di bilancio? per una volta, vincoliamo lo Stato a rispettare il contribuente. Non diciamo che agli italiani verrà voglia di pagare le tasse, ma forse qualcuno eviterà di evaderle sentendosi anche in diritto di farlo. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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