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La stangata c'è, ma non si vede

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Gli sgravi fiscali sono una mancia, gli aumenti sono nascosti nelle pieghe del testo, le coperture spesso sono fuffa: nella legge di stabilità l'unica cosa sicura è che Letta ci sta fregando

Giulio Bucchi
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«Né stangata, né frustata. Idee buone, ma poco coraggiose. Una finanziaria non truculenta, ma neppure rivoluzionaria». A leggere i commenti  degli editorialisti sui giornali di ieri si poteva dedurre che la legge di stabilità varata martedì notte dal governo Letta non fosse né carne né pesce e dunque buona per tutte le stagioni. Da sinistra a destra infatti era tutto un osservare che i provvedimenti  andavano nella direzione giusta, con la sola obiezione della lentezza. Una manovra light l'ha definita qualcuno, con non troppo apporto calorico. Ma in che cosa consista questa leggerezza per la verità non è chiaro, perché a leggere con attenzione le misure prese dall'esecutivo delle larghe intese si capisce al contrario che la stangata c'è, eccome se c'è. E là dove non la si nota è solo perché si sono inserite cifre a caso, che lo Stato non incasserà mai e dunque ci penseranno le clausole di salvaguardia a far tornare i conti pubblici, perché se ciò che è iscritto a bilancio non entra nelle casse del ministero dell'Economia scatteranno i soliti aumenti delle accise ed altro. Un esempio? Nessuno crede che il contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d'oro possa portare i quattrini necessari a pagare gli esodati. Un po' perché le vere pensioni d'oro non sono poi così numerose come si vuol far credere e un po' perché la Corte Costituzionale ha già bocciato il prelievo giudicandolo incostituzionale. E allora perché fingere che quei soldi si possano calcolare fra le entrate? Semplice, per fare un po' di scena e gettare un po' di fumo negli occhi dell'opinione pubblica. Poi, se il denaro non si potrà prelevare dalle tasche dei pensionati da 100 mila euro in su, e anzi lo si dovrà restituire con gli interessi come è accaduto nei mesi scorsi, il governo provvederà a metterci una pezza rincarando le sigarette o la benzina. Di giochi di prestigio tipo quello appena descritto, nella legge finanziaria ce ne sono diversi. A cominciare da quello sulle abitazioni. Nonostante il presidente del Consiglio abbia detto in conferenza stampa che la manovra alleggerirà la pressione fiscale, in realtà è difficile trovare confermate le sue promesse. Dal testo della finanziaria si capisce semmai che l'esecutivo ha fatto il gioco delle tre tavolette, spostando il carico del Fisco da una tavoletta ad un'altra. È possibile infatti che almeno il primo o il secondo anno il contribuente proprietario di una sola casa, quella in cui lui e la famiglia vivono, paghi di meno. Ma lo sgravio è compensato da un carico assai più pesante su chi possiede una seconda casa. Per intenderci: ciò che non paga il primo lo paga il secondo e molto e salato, perché ai Comuni è consentito di alzare le aliquote, opzione a cui - c'è da scommetterci - in tanti faranno ricorso. Nessun taglio degli sprechi degli enti locali (che, come dimostravamo ieri citando le assunzioni del municipio di Roma, continuano), ma la licenza concessa a sindaci e pubblici amministratori di uccidere con altre imposte il contribuente. Non importa che tutto ciò rischi di provocare a cascata una contrazione del settore immobiliare, con conseguente riduzione delle entrate fiscali legate al mattone. Né  che la misura colpisca il ceto medio, penalizzandolo ancor più di quanto abbia fatto il governo Monti. Ciò che conta è far pagare il conto ai benestanti, così da poter attuare un programma di appiattimento reddituale. Di quanto la manovra sia pauperista e poco proiettata a far crescere il Paese ne  dà dimostrazione anche il tanto annunciato taglio del cuneo fiscale. Secondo le promesse l'intervento avrebbe dovuto servire a mettere un po' di soldi nelle tasche di chi non ne ha, rilanciando i consumi e favorendo la ripresa. In realtà, nelle tasche la finanziaria metterà gli spiccioli. Pochi euro al mese: quattordici secondo i calcoli della Cgia di Mestre, poco più di quattro secondo altri. Nell'uno e nell'altro caso, neppure i soldi per una pizza e una birra. Eppure la misura è stata spacciata per un'autentica sforbiciata. Fisco più leggero per il lavoro, hanno titolato alcuni: se è leggero lo è appena appena, quanto basta per non farsi notare.  Non è tutto. Tra le coperture della legge di stabilità sono stati inseriti 2,2 miliardi che lo Stato incasserebbe dalla revisione del trattamento delle perdite di banche e assicurazioni, un provvedimento che gli istituti di credito e le compagnie reclamavano da tempo. Difficile credere che la finanza sollecitasse il governo al fine di pagare più tasse. E infatti si scopre che per effetto di un diverso ammortamento forse banchieri e assicuratori verseranno di più l'anno prossimo e nel 2015, ma poi si rifaranno con gli interessi, riprendendosi quello che hanno dato. Insomma, un po' come dire che Letta per ora fa finta di aver rimesso ordine nei conti, poi quando dovrà sloggiare da Palazzo Chigi ci penserà chi verrà a farli quadrare. Si trattasse di una società parleremmo di falso in bilancio, ma trattandosi di un governo ci limitiamo a dire che più che una legge di stabilità quella varata martedì ci pare una manovra instabile, dove niente è sicuro tranne che ci stanno per fregare.   di Maurizio Belpietro  

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