La sconfitta degli scafisti del Pd
La guerra contro la Bossi-Fini è ideologica e strumentale: serviva solo alla sinistra per attirare i 5 Stelle e mettere in piedi una maggioranza alternativa. Missione fallita
Da sette mesi il Pd fa stalking nei confronti degli onorevoli a Cinque Stelle. Preso atto di non aver vinto le elezioni e di non avere una maggioranza per governare, Bersani e i suoi hanno iniziato a molestare i pentastellati nella speranza di convincerli a votare per loro. Presidenti delle Camere nominati strizzando l'occhio ai grillini, tetto al finanziamento dei partiti per far contenta la rete, espulsione di Berlusconi dal Senato nella speranza di uno strappo: ogni motivo va bene per manifestare attenzioni indesiderate nei confronti dei «cittadini». L'ultima proposta indecente ha per oggetto il reato di clandestinità. Facendo uso di una certa dose di cinismo, il Partito democratico ha abusato della tragedia di Lampedusa lanciando un'offensiva in grande stile contro la Bossi-Fini, come se la responsabilità dell'affondamento fosse colpa della legge e non dei criminali che hanno imbarcato centinaia di persone su una bagnarola incapace di restare a galla. Eppure i naufragi c'erano prima che il centrodestra vietasse gli sbarchi punendoli a norma di legge. Basti ricordare che quando Prodi era a Palazzo Chigi il governo ordinò i primi respingimenti di clandestini, provocando l'affondamento nel canale di Otranto di una barca carica di albanesi e la morte di una settantina di persone. E che dire del naufragio di Porto Palo, del dicembre 1996? La vigilia di Natale perirono in 300 e nessuno si mobilitò per ripescarli. Si affogava anche se la sinistra era al governo e non c'era il reato di clandestinità. Tuttavia né giornali né opposizioni puntarono il dito contro Giorgio Napolitano, che all'epoca era ministro dell'Interno, o contro Livia Turco, ministro della Solidarietà sociale. E sebbene gli albanesi colati a picco il venerdì santo fossero finiti in fondo al mare per effetto della manovra sbagliata di una nave militare, il ministro della Difesa Beniamino Andreatta restò al suo posto, senza che alcuno lo accusasse di colpevoli inadempienze. La canea montata contro la Bossi-Fini è dunque strumentale e ha per solo obiettivo quello di solleticare il ventre molle dei Cinque Stelle. Votando in Senato per abolire il reato di clandestinità, i grillini sono caduti nel tranello con tutti i piedi. Così si è costituita una maggioranza Pd-pentastellati, diversa e alternativa a quella su cui si regge il governo Letta. Un successo per Epifani e compagni, i quali si vergognano di essere alleati del Pdl. In realtà si tratta di una vittoria di Pirro, perché non essendo fesso e conoscendo bene cosa pensi l'opinione pubblica dell'immigrazione clandestina, Beppe Grillo ha subito corretto il tiro, annunciando che la linea del Movimento non è quella votata a Palazzo Madama. L'emendamento dunque è morto prima di nascere e il reato di clandestinità è destinato a restare nel nostro ordinamento. Giusto così, perché la battaglia contro la norma è frutto più di pregiudizio che di giudizio. Basterebbe informarsi per rendersi conto che quella contro la Bossi-Fini è una guerra ideologica. Punto primo, la legge è in gran parte inapplicata e a documentarlo è la gazzetta della sinistra. Su Repubblica di ieri, tra un editoriale fremente di sdegno di Gad Lerner e una raccolta di firme contro l'infausta norma, spiccava un titolo inequivocabile: «I pm chiedono sempre di archiviare, alla fine solo multe che nessuno paga». Domanda facile facile: ma se la Bossi-Fini non serve a niente e i giudici non la applicano, tanto che nella sola Agrigento su 12.8867 inquisiti non si ha memoria di un condannato, perché sostenere che è colpa della legge se a Lampedusa una nave di migranti è finita in fondo al mare? Punto secondo: ieri sul Foglio un ex sindacalista della Cgil come Giuliano Cazzola poneva un quesito. Ma se si abolisce il reato di immigrazione clandestina, lo scafista della barca affondata - che è accusato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina - di cosa lo incolpiamo? Di guida senza patente? Punto terzo. Ma i nostri indignati speciali, invece di manifestare quotidianamente tutto il loro sdegno, non potrebbero leggere la lettera che Giusto Sciacchitano ha scritto ieri al Corriere e che il giornale ha confinato a pagina 55, taglio bassissimo, quasi rasoterra, nel giorno in cui apriva la prima pagina sulla Bossi-Fini? Sciacchitano è il procuratore nazionale antimafia che si occupa della tratta di esseri umani e nella garbata missiva se la prende con l'Europa che non muove un dito per fermare il traffico di esseri umani, ma accoglie senza batter ciglio forza lavoro a buon mercato. L'alto magistrato non parla di accoglienza, ma denuncia chi non fa nulla per «scoraggiare queste bibliche emigrazioni e contrastare i trafficanti». Il pm cita il grido di dolore del Papa, ma invita l'Onu e gli organismi internazionali a vergognarsi per la quantità di risoluzioni, seminari e piani d'azione: tutta roba che non serve a un fico secco perché resta inapplicata. Il procuratore lamenta il mancato pattugliamento del Mediterraneo, che da solo basterebbe a fermare le navi che scaricano in mare masse di disperati. Quella di Sciacchitano è una lettera lunga e ben argomentata, ma la Bossi-Fini non viene mai citata. Forse quelli del Pd non l'hanno letta. di Maurizio Belpietro