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Napolitano chiude la stalla ma i giudici son già scappati

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Scoprire gli eccessi solo ora è troppo tardi, visto che Berlusconi sta per essere estromesso dal Parlamento. E anche in altre occasioni il Quirinale ha taciuto

Nicoletta Orlandi Posti
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Con un discorso tenuto di fronte a studenti e professori dell'Università di Confindustria, Giorgio Napolitano è intervenuto sulla questione che occupa le nostre discussioni da vent'anni, ossia il conflitto tra politica e giustizia. Quello del presidente della Repubblica è lungi dall'essere un intervento risolutivo: nello stile cui da diverso tempo ci hanno abituato gli uomini del Colle, si è trattato piuttosto della solita predica inutile.  Un colpo al cerchio e uno alla botte, un richiamo ai magistrati che si oppongono a qualsiasi disegno di riforma del settore (se ne occupa Filippo Facci nelle pagine interne), ma anche una tirata d'orecchi a Berlusconi che aveva definito i giudici «impiegati pubblici non eletti».  La sola novità della chiacchierata quirinalizia sta semmai in ciò che il capo dello Stato non ha detto e che secondo la Repubblica avrebbe dovuto dire. Un'anticipazione del quotidiano debenedettiano, svelava ieri mattina che, a causa del videomessaggio, Napolitano sarebbe stato così infuriato con il Cavaliere da essere pronto a negargli pubblicamente la grazia. Al contrario, il presidente della Repubblica non ha fatto cenno a provvedimenti di clemenza, preferendo parlare d'altro.  Tuttavia, a parte  la piccola soddisfazione di vedere che il capo dello Stato non segue alla lettera ciò che gli intimano Eugenio Scalfari e i suoi cronisti, non possiamo non notare come il discorso di Napolitano, oltre ad essere generico, arrivi fuori tempo massimo. Se l'uomo del Colle fosse stato davvero preoccupato della «spirale di contrapposizioni tra politica e giustizia» avrebbe dovuto intervenire prima che i buoi scappassero dalla stalla, cioè prima che il fondatore di una delle più importanti forze politiche del Paese venisse estromesso per via giudiziaria dal parlamento.  Invece, in tutto questo tempo, il Quirinale ha fatto da spettatore muto, evitando di dire ciò che pensava a proposito dello scontro fra politica e giustizia. Avesse voluto, il capo dello Stato avrebbe potuto far ricorso a una delle prerogative che gli sono attribuite dalla Costituzione, cioè mandare un messaggio al Parlamento, sollecitando un dibattito serio di Camera e Senato sul conflitto fra giudici e rappresentanti del popolo, con provvedimenti conseguenti.  E se avesse davvero avuto intenzione di dare un contributo per porre una linea di demarcazione fra un potere e un ordine dello Stato, Napolitano avrebbe potuto richiamare l'attenzione delle forze politiche sulla prima formulazione dell'articolo 68, quella che tutelava  deputati e senatori dallo strapotere delle toghe ma che l'onda giustizialista di Mani pulite spazzò via, invitando le Camere a ripensarci e ripristinare il vecchio articolo così come lo formularono i padri costituenti.  E infine, avesse inteso concretamente instaurare una tregua fra giudici e politici, avrebbe potuto levare la sua voce anche prima che la Corte costituzionale si pronunciasse a proposito del famoso lodo Alfano , cioè della legge che istituiva uno scudo per le alte cariche dello Stato. Invece, durante il suo primo settennato e anche nei mesi che sono seguiti alla sua riconferma, Napolitano è stato zitto,  limitandosi ai discorsi generici che un capo dello Stato fa nelle occasioni canoniche in cui si parla di giustizia. Ora il bi-presidente ci fa sapere che così non va, che nei tribunali  devono regnare l'armonia e l'efficienza, e a tal ragione richiama modelli di comportamento come «l'equilibrio, la sobrietà, il riserbo, l'assoluta imparzialità e il senso della misura e del limite», tutte le cose che in certe Procure mancano da parecchio, cioè  da quando il Cavaliere è sceso in politica. L'inquilino del Colle non poteva dirlo prima? Non era possibile segnalare al Parlamento e anche al Csm la necessità che giudici e pubblici ministeri si attengano alle regole di uno Stato di diritto, in cui politica e magistratura sono separate e la seconda, nel rispetto della legge e dell'autonomia, risponde dei suoi comportamenti alla prima? Adesso - anno domini  2013 - il presidente si accorge che i magistrati hanno respinto tutte le riforme del settore messe insieme in venti  anni da destra e sinistra e perciò li esorta a «un'attitudine meno difensiva e più propositiva», perché «la giustizia ha indubbio bisogno di riforme». Giusto. Ma nel ventennio in cui pm e giudici dicevano no a tutto, Napolitano dov'era? Da presidente della Camera, ministro dell'interno, europarlamentare e, infine, presidente della Repubblica, perché non ha fatto sentire la sua voce? Perché non ha dato avvio a una campagna di sensibilizzazione sul tema?  Lasciando perdere domande e prediche, vorremmo insomma che il capo dello Stato ci spiegasse perché in questi due decenni ha consentito che Berlusconi fosse messo in croce  senza muovere un dito. Dov'era signor presidente mentre accadeva tutto ciò? Non ci dica su Marte. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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