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A sinistra la politica è morta

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Nonostante i dubbi sulla legge, Epifani e compagni non vogliono attendere il pronunciamento della Corte europea: l'unica cosa che interessa è dare il colpo di grazia al nemico anche a costo di bloccare il Paese

Andrea Tempestini
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Il Pd, Sel e anche il Movimento Cinque Stelle hanno fretta di cacciare Silvio Berlusconi dal Senato, dunque invece di tre voti si va verso il voto unico: prendi tre spendi – in termini di tempo - uno.  Altrettanta impazienza la mostrano i giudici della Corte d'Appello di Milano, i quali contro ogni previsione hanno anticipato il giudizio per stabilire l'interdizione del Cavaliere dai pubblici uffici: non più a metà novembre, ma un mese prima, così – caso più unico che raro - si accorciano i tempi della giustizia. Certo, l'urgenza con cui sia la sinistra che la magistratura mostrano nella vicenda che riguarda il leader del centrodestra non può che suscitare stupore, soprattutto nell'ora in cui sia sulla costituzionalità della legge che fissa la decadenza da un incarico politico, sia sull'equilibrio della sentenza con cui è stato condannato Berlusconi, sono pendenti dubbi e ricorsi. Ma tant'è: nel bene e nel male il Cavaliere passa davanti a tutto, anche al buon senso. Era proprio indispensabile mettere in calendario subito dopo le vacanze la questione della permanenza o meno al Senato dell'uomo che ha segnato la politica per un ventennio? È proprio necessario votare subito, senza neppure prendersi il comodo di aspettare il pronunciamento degli organi di giustizia europea? A quanto pare la risposta è  sì: bisogna sparare il colpo di grazia a sentenza ancora calda, di ritorno dalle spiagge e nella prime giornate di attività del Parlamento, altrimenti c'è il rischio che il Cavaliere  si inventi qualche stratagemma che lo tenga ancora a galla per mesi, se non addirittura anni.  Insomma, mentre  la crisi economica morde e gli organismi internazionali avvisano che il nostro Paese è l'unico a non dare segni di recupero, l'Italia della politica è occupata a ricercare la soluzione finale per Berlusconi, quasi come se la malattia incurata che debilita il Paese divenisse improvvisamente curabile solo nell'ora in cui al leader del centrodestra fosse inibito l'accesso a Palazzo Madama. Diciamo la verità: nell'atteggiamento della sinistra, nell'ostinazione con cui si sono impuntati a pretendere la cancellazione di Berlusconi, c'è un che di infantile e rievoca in toni meno truculenti un passato che non passa. Non siamo a piazzale Loreto (anche se ieri a Roma qualcuno ha pensato bene di affiggere un manifesto a testa in su di uno degli episodi peggiori della nostra storia contemporanea) ma poco ci manca, perlomeno nel clima che si respira e nell'atteggiamento di quelli che oggi si sentono i vincitori. Invece di badare a ricostruire ciò che è andato distrutto, invece di rimettere insieme tutte le forze migliori, ciò che conta è tagliare la testa all'avversario, negandogli ogni via di fuga, anche la più sensata, anche quella che costerebbe di meno in termini di ricaduta sull'immagine e sulla tenuta del Paese. In tutto ciò, il gruppo dirigente del Partito democratico,  cioè gli alleati che insieme con Pdl tengono in vita il governo, mostra non solo non avere senso politico (in altri tempi Togliatti si fece carico della soluzione e si usciva da una guerra di liberazione, non dalla battaglia per la liberazione da Berlusconi), ma anche di essere manchevole di coraggio. Bastano qualche tweet e un po' di mail a inibire qualsiasi scelta, qualsiasi decisione che sia in grado di farci uscire dall'impasse. Come i lettori sanno, pur non essendo noi tra i sostenitori di questo governo, fatichiamo a vedere un'alternativa e per questo abbiamo suggerito al centrodestra di non farsi illusioni su una rottura che porti alle elezioni. Ma allo stesso tempo riteniamo che neppure la sinistra possa illudersi di trovare un modo di governare senza il Pdl. Se cade, Letta forse riuscirà a risorgere con quattro gatti del Popolo della Libertà e con i felini ancor più spelacchiati del Movimento Cinque Stelle. In tal caso probabilmente non ci sarà la crisi, ma governare è un'altra cosa. Guidare un paese significa prendere delle decisioni, non annunciarle. Dire che si procederà ad alienare i beni dello Stato, che si taglieranno le tasse, che si ridurranno le spese è cosa diversa dal farlo. Così come altra cosa è fare una riforma dell'istruzione che davvero consenta alla scuola italiana di offrire opportunità di lavoro ai giovani. Non basta fare un'infornata di insegnanti al fine di accontentare i precari. Né è sufficiente l'annuncio che i ragazzi non dovranno arrivare a 25 anni senza aver mai avuto un'esperienza lavorativa. Una riforma fatta in fretta, con tanti annunci e pochi cambiamenti, rischia di confondere solo le idee. Il diritto allo studio è una bella promessa. Ma togliere a chi ha studiato il diritto ad avere un bonus che lo premi quando dovrà iscriversi all'Università non è un buon inizio ma solo una pessima lezione di egualitarismo. L'ennesima impartita a un Paese dove il grande sconfitto è sempre il merito. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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