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Attento Renzi, i nuovi amici tirano a fregarti

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La levata di scudi per il sindaco fiorentino non rappresenta un improvviso cambio di rotta dell'ala più sinistradel Pd. Anzi, è il tentativo di inchiodarlo a un ruolo nel quale ai suoi stessi compagni verrà più facile impallinarlo

Lucia Esposito
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Matteo Renzi ha già vinto la sfida alla conquista del Pd? Così pare leggendo certe dichiarazioni di quello che un tempo era il gruppo dirigente della sinistra. Tuttavia è anche possibile che abbia già perso, perché l'adesione incondizionata di certe vecchie volpi rosse fa venire il sospetto che, non essendo riuscita ad abbatterlo, la nomenklatura del partito abbia deciso di stritolare il sindaco di Firenze con un abbraccio mortale. Nei giorni scorsi ci eravamo occupati di alcuni rottamati che avevano sposato la causa del rottamatore. Fra di loro si segnalavano Massimo D'Alema, Leoluca Orlando ed Enzo Bianco, tutta gente che appartiene alla prima Repubblica e che grazie a un numero interminabile di piroette è riuscita ad approdare alla seconda ed ora si prepara alla terza. Da allora, dalle prime entusiastiche adesioni, i seguaci di Matteo fra la vecchia guardia del Pd sono diventati un esercito: gli ultimi in ordine di tempo sono due ex segretari. Il primo è Dario Franceschini, ministro dei Rapporti con il Parlamento soprannominato Tarzan per la sua abilità a saltare da una corrente all'altra del partito, il quale ha annunciato di sostenere Renzi così come prima aveva sostenuto Veltroni, Bersani e infine Letta. Con lui a quanto pare sarebbero arrivati anche un po' di ex democristiani, ma non la pasionaria rossa Rosy Bindi, che essendo permalosa non ha  ancora perdonato a Renzi di averla messa tra gli onorevoli da pensionare. Chi pure non si è fatto problema   a schierarsi con il rottamatore è Piero Fassino, cioè colui che guidò i Ds prima che si fondessero nel Partito democratico. L'outing del sindaco di Torino e presidente dell'Anci è arrivato tramite Repubblica, con un'intervista dal titolo inequivocabile: «Non si può tirare il freno a mano, questo è il momento di Matteo».  Seguiva appello al resto del partito affinché creasse «uno schieramento largo a sostegno di Renzi». Come dire: tutti sul carro del vincitore. Dopo D'Alema, Veltroni, Fassino e Franceschini a ore si attende la capriola di Pier Luigi Bersani, dopo di che il gioco sarebbe fatto:  tutti i segretari che hanno guidato la sinistra negli ultimi vent'anni imbarcati sulla scialuppa renziana.  A questo punto occorre chiedersi non tanto cosa sia stata la sinistra negli ultimi due decenni, ma che cosa intenda essere se il gruppo dirigente che l'ha guidata fino a ieri si dice convertito al credo del sindaco di Firenze. Tutti pentiti e convinti di aver sbagliato linea in questi anni? Oppure tutti pronti a sposare la nuova causa perché nulla cambi? Il sospetto che i gattopardi del partito stiano semplicemente provando a imbrigliare il Fonzie del Pd c'è ed è forte. Anche perché la strategia della trappola spiegherebbe come e perché in pochi mesi la geografia della sinistra si sia trasformata. Là dove oggi il sindaco di Firenze viene portato in trionfo, fino a ieri   regnava il vecchio apparato del partito e per rendersene conto basta dare una spolverata ai risultati delle primarie in cui Renzi fu sconfitto.  Quello che ora Matteo liquida in un fuorionda come un leader spompo, alla fine dello scorso anno stracciò il concorrente 60 a 40. Bersani stravinse in Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia, Lazio e in tutto il Sud. In Calabria addirittura arrivò a sfiorare il 75 per cento. Renzi trionfò solo nella sua Toscana. E ora, meno di dodici mesi più tardi, le truppe dei burocrati del partito sarebbero in rotta, anzi si sarebbero schierate con il sindaco di Firenze, tradendo gli storici referenti? Difficile credere ad un tanto repentino voltafaccia. Più facile immaginare che la struttura che ha in mano il serbatoio di voti abbia deciso di avvolgere il Rottamatore per neutralizzarlo. In fondo, fino ad oggi Renzi ha avuto vita facile. Fuori dal Parlamento e senza incarichi di vertice ha potuto sparare a zero ogni volta che gliene si è presentata l'occasione. Non solo, non avendo nulla da farsi rimproverare, se non di far poco il sindaco e molto il leader nazionale, Matteo ha avuto poco da temere. Così ha giocato senza handicap, cambiando strategia a seconda della convenienza.  Ma se alla fine sarà costretto a correre per la segreteria e a rinunciare a Palazzo Vecchio, i tempi delle mele, cioè della corsa senza ostacoli, anche per Renzi saranno finiti. Una volta alla guida del Pd non avrà più la libertà di manovra di cui gode ora e dovrà vedersela non con le feste dell'Unità, ma con chi - dentro il partito e fuori -  è pronto a fargli la festa. Non ultimo il vero uomo forte di questo Paese, ossia il presidente della Repubblica, il quale pur di difendere il governo sarebbe pronto a vendere la pelle di chiunque, rottamatori compresi.  Può darsi che il nostro giudizio sia sbagliato e nel caso i prossimi mesi si incaricheranno di smentirci.  Eppure a oggi ci sembra di poter dire che il Rottamatore portato in trionfo dai rottamati è solo l'ultimo atto di una farsa - e di una faida - cui la sinistra ci ha da tempo abituati. La guerra dei vent'anni del gruppo dirigente uscito dal Pci non si è ancora conclusa.  Maurizio Belpietro  

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