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Che cosa fare per salvare il nostro turismo

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Le Regioni sprecano fiumi di denaro in promozioni: Letta usi quei soldi per rilanciare un settore chiave per la ripresa

Lucia Esposito
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Qualche giorno fa il Corriere della Sera ha dato conto dei soldi che le regioni spendono, anzi sprecano, per promuovere il turismo. In percentuale rispetto ad abitanti e visitatori pare che la peggiore sia la Val d'Aosta, che in valore assoluto è però battuta dalla Sicilia, con oltre 129 milioni l'anno investiti per far conoscere al mondo le bellezze della regione guidata da Rosario Crocetta. Quasi dieci euro per ognuno dei 13 milioni di turisti che annualmente raggiungono l'isola secondo gli esperti sono una montagna di denaro che si potrebbe impiegare meglio. Tuttavia, il problema non è dato dal fatto che a Palermo si buttino i quattrini del contribuente: come è noto perché ce ne siamo occupati spesso, la Sicilia fa un gran uso di fondi pubblici e non sempre nel migliore dei modi. Che alle assunzioni in massa di forestali o alla moltiplicazione delle ambulanze del 118 si aggiunga dunque anche lo spreco di milioni per il turismo non stupisce granché. Da non credere però è che dopo aver speso tutti questi soldi e suonato la grancassa in giro per il mondo in cerca di turisti, la Regione abbia meno visitatori delle Baleari. L'Isola è un concentrato di storia e cultura, di bellezze naturali e di buon cibo. Eppure, nonostante abbia gli stessi chilometri di coste di Maiorca e Minorca (anzi di più: 1500 contro i 1430 chilometri delle isole spagnole), le presenze internazionali sono state meno di un decimo di quelle registrate nelle Baleari. Tradotto significa che le località turistiche iberiche hanno un impatto sul Pil di gran lunga superiore a quello della Regione guidata da Crocetta. In totale la Spagna fa 160 miliardi di euro di fatturato turistico, mentre l'Italia si ferma a 136. Per non dire poi della Francia, che da sola arriva a 185, quasi 50 miliardi più di noi. Le cifre citate non sono campate per aria, ma sono riportate nero su bianco in un recente rapporto compilato da Burson e Masteller, società di consulenza che per conto del ministero del Turismo ha studiato il settore. Dallo studio si ricava che Spagna e Francia fanno soldi a palate con i visitatori. La prima con il turismo raggiunge il 15 per cento del Prodotto interno lordo, mentre i nostri cugini sfiorano il 10: noi, cioè la patria dell'arte, della cultura, del vivere bene e del mangiare meglio, arriviamo con fatica all'8,6 e la percentuale è in discesa. La grandinata di cifre e percentuali forse a questo punto avrà spaventato il lettore, il quale - lo sappiamo per esperienza diretta - fra troppi numeri rischia di  perdersi. Tuttavia, in questo caso qualche dato è utile per capire che la ripresa, la possibilità di rilanciare la nostra economia di cui ogni organo di stampa scrive quotidianamente, la calpestiamo tutti i giorni, in quanto si tratta del nostro territorio.  Ogni mese, alla pubblicazione dei dati Istat sui posti di lavoro, ci lamentiamo per il tasso in crescita delle persone che non hanno più un'occupazione. Ma il turismo in Spagna dà lavoro a quasi il 13 per cento degli spagnoli, in Francia si supera il 10, mentre noi al contrario ci fermiamo al 9,7. Risultato: se solo raggiungessimo la quota tenuta dai francesi avremmo 600 mila posti di lavoro in più, cioè saremmo in grado di riassorbire tutte le persone che sono state licenziate negli ultimi due anni. Fantasie? Niente affatto. E per capirlo basta di nuovo tornare al caso Sicilia. A Palermo e negli aeroporti dell'isola in una settimana di luglio dello scorso anno sono arrivati dalla Germania solo 17 voli low cost, cioè meno di venti aerei charter che trasportano turisti. Alle Baleari i voli carichi di tedeschi in ciabatte e mutande da bagno sono stati 223. Complessivamente, in Spagna da Cruccolandia sono giunti 522 aerei, più del doppio di quelli atterrati in Italia fra il 16 e il 22 luglio del 2012. Perché si sono domandati gli esperti della Burson e Masteller i concittadini della Merkel preferiscono la penisola iberica a quella italica? Semplice. La ragione sta nelle infrastrutture. Migliori aeroporti, migliori strutture ricettive (cioè alberghi moderni dotati di ogni confort, mentre noi continuiamo a offrire la pensione Maria), migliore organizzazione. Da noi ogni campanile spende soldi nella convinzione di attirare turisti sottraendoli alla località vicina. Risultato: invece di una politica coordinata di rafforzamento della nostra immagine e della nostra offerta, il denaro pubblico finisce in clientele e iniziative velleitarie. Insomma, nella migliore delle tradizioni i soldi del contribuente vengono buttati dalla finestra senza che il paese o la regione interessata ne traggano alcun vantaggio. Provate invece a immaginare quante cose si possono fare con 129 milioni, cioè quelli che da sola spende ogni anno la Sicilia per avere meno turisti delle Baleari. In una legislatura fanno 650 milioni, mica bruscolini. Forse non serviranno a rifare un aeroporto, ma a migliorare qualcosa di quel che non va di certo sì.  Ecco, invece delle tante chiacchiere sugli incentivi e gli stimoli all'economia che si fanno ogni giorno e ad ogni convegno, perché Enrico Letta non prova a fare questo, cioè a impiegare meglio i fondi del turismo? Forse così qualche occupato in più lo recupera.  Maurizio Belpietro [email protected]

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