I giudici lo vogliono subito in cella
I magistrati si affrettano a rendere esecutiva la pena mentre i sondaggi confermano che l'ex premier è il leader più amato: una verità che nessuna sentenza può cancellare e con la quale la politica e il Colle dovranno fare i conti. Magari pensando alla grazia...
I giudici hanno fretta di eseguire la sentenza. Non contenti di averlo condannato come un pericoloso frodatore, giovedì sera i magistrati della Suprema corte si sono dati da fare per inoltrare a Milano il dispositivo di condanna di Silvio Berlusconi. Così ieri, venerdì due agosto, a tempo di record la Procura lombarda ha potuto aprire il fascicolo per l'esecuzione della pena e, come informano le agenzie, avviare la procedura per il ritiro del passaporto al leader del Pdl, notificando la sentenza al Senato in vista della decadenza da parlamentare. Una rapidità straordinaria: per altri la giustizia può attendere settimane o mesi, ma per l'uomo che negli ultimi vent'anni ha rappresentato il centrodestra, opponendosi alla sinistra e impedendole di vincere, va come un razzo. L'impazienza di mettere agli arresti il Cavaliere evidentemente fa dimenticare ogni cosa, perfino le ferie e il buon senso. Ma ciò di cui non si rendono conto i nemici di Berlusconi è che condannando l'ex presidente del Consiglio i giudici hanno scritto la verità giudiziaria. Tuttavia esiste una verità politica che è diversa da quella contenuta nella sentenza ed è ben chiara a gran parte dell'opinione pubblica. Non si spiegherebbe altrimenti la reazione degli italiani, i quali, proprio nell'ora in cui la Cassazione lo dichiarava colpevole di aver frodato il fisco, si dicevano disposti a votare in gran massa per il Cavaliere. Più di quanto è avvenuto alle passate elezioni, più di quanto altri siano disposti a votare per il Pd o per Beppe Grillo. È questo il paradosso nazionale: la magistratura lo condanna, gli elettori lo acclamano tributandogli consenso e fiducia come non mai. Secondo Swg, società di sondaggi cara alla sinistra, il Pdl sarebbe al 28 per cento, il Partito democratico al 22 e il Movimento Cinque Stelle al 18. Tradotto, significa una sola cosa: che più lo mandi giù e più Berlusconi si tira su. Anche se dichiarato colpevole da una sentenza passata in giudicato, il leader del centrodestra c'è, è in campo, e non può essere cancellato per via giudiziaria come qualcuno riteneva. Anzi: essendo giudicato da quasi un terzo degli italiani come frutto di un orientamento politico, l'attivismo della magistratura si rivela addirittura controproducente, convincendo gli elettori che si erano allontanati dal centrodestra a ritornare sui loro passi, dichiarandosi nuovamente disposti a votare per Berlusconi. Da questo dato di fatto, dunque, non potrà che partire chiunque abbia a cuore la stabilità del Paese, perché - libero o detenuto - il Cavaliere rimane il leader più popolare e più amato, il capo del più importante partito italiano, e tutto ciò non c'è interdizione o dichiarazione di incandidabilità che lo possa annullare. Dunque - al di là della applicazione della sentenza - si pone un problema: che cosa fare? Fingere che non sia successo nulla, lasciare che Berlusconi sia posto agli arresti e magari condannato di nuovo appena il processo Ruby arriverà a destinazione, rischiando di far tracimare la rabbia degli elettori, oppure intervenire? È tutto qui il problema : chiudere gli occhi, mettendo in pericolo il governo e di conseguenza la già precaria situazione economica del Paese, oppure reagire con un provvedimento di clemenza che in qualche modo, pur rispettando la verità giudiziaria, tenga conto anche della verità politica? Il nodo, come è ovvio, lo può sciogliere solo il capo dello Stato, l'unico con il potere di concedere o meno la grazia, misura che a nostro parere resta la via più spiccia per evitare altri guai. Come i lettori sanno, siamo stati tra i primi a parlarne e ci siamo anche beccati la reazione stizzita del presidente della Repubblica, al quale non piace essere tirato per la giacchetta. Tuttavia l'argomento in queste ore è rispuntato con forza, per alcuni come merce di scambio da offrire al Cavaliere nel caso di una sua disponibilità a un passo indietro; per altri come via impraticabile, in quanto l'ex premier non potrebbe usufruire della clemenza poiché soggetto ad altri procedimenti giudiziari. In realtà l'ultima obiezione non ha fondamento: basti dire che Alessandro Sallusti è stato graziato nonostante avesse altre condanne in arrivo, mentre la soluzione del ritiro dalla scena politica appare peggiore del male che vorrebbe curare. Insomma, a nostro parere, in un delicato momento della vita della Repubblica chi la rappresenta nel più alto incarico ha il dovere di uno sforzo di fantasia e di coraggio. Comprendiamo le remore a trovare una via d'uscita, ma la situazione impone di fare in fretta e soprattutto di fare. Tacere e aspettare che passi «'a nuttata» farà solo perdere tempo. E noi di tempo non ne abbiamo. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet