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Al Cav ora restano due strade

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Può candidare Marina e provare a rivincere le elezioni. Oppure affidarsi a Napolitano sperando nella grazia. Ma in entrambi i casi ci sarebbero dei rischi...

Andrea Tempestini
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Cane non mangia cane e così i giudici della Suprema Corte, piuttosto di smentire la sentenza dei giudici della Corte d'Appello, hanno scelto di mangiarsi il giaguaro. Quello che non è riuscito a fare Bersani, lo hanno fatto i magistrati. Nonostante le incongruenze, nonostante la mancanza delle prove, la Cassazione ha infatti confermato la condanna a quattro  anni di carcere   per il Cavaliere, limitandosi ad annullare l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, pena accessoria che avrebbe subito fatto decadere il leader del centrodestra dalla carica di senatore. Si tratta di un contentino dato alla difesa, un piccolo distinguo rispetto alle tesi della Procura e dei giudici di primo e secondo grado. Di fatto, i magistrati dell'Appello saranno chiamati a ridefinire nei prossimi mesi l'interdizione dai pubblici uffici, che potrebbe essere non più di cinque ma di tre anni. Sempre che nel frattempo non venga applicata la norma voluta dal governo Monti che dichiara ineleggibili i condannati e che, in assenza dell'interdizione, potrebbe comunque rendere difficoltosa la permanenza di Berlusconi a Palazzo Madama. Ad ogni buon conto, anche se il Cavaliere potesse rimanere senatore ancora per qualche mese (visti i tempi della giustizia quando c'è di mezzo l'ex presidente del Consiglio, è immaginabile che la decisione sulla pena accessoria arrivi in fretta) resta la sostanza:  una volta condannato, nelle prossime settimane l'ex premier dovrà scegliere se richiedere l'affidamento ai servizi sociali o la detenzione ai domiciliari, o, come ci ha dichiarato venerdì scorso,  entrare in carcere.  Che rimanga o meno parlamentare,  a questo punto è chiara una cosa: dopo vent'anni, in qualche modo, le toghe sono riuscite a levarlo di mezzo, mettendogli sulle spalle una pesante condanna per frode fiscale.  Una brutta botta per l'uomo che per due decenni ha rappresentato le aspirazioni e i convincimenti politici di quasi la metà degli italiani, al leader che dal 1994 ad oggi ha impedito che l'Italia scivolasse pericolosamente a sinistra. Il colpo, oltre ad abbattere il Cavaliere, indirettamente rischia di far secco anche il governo. Difficile che l'esecutivo delle larghe intese possa sopravvivere alla fine traumatica della carriera parlamentare di Berlusconi. Appena diffusasi ieri la notizia della condanna definitiva emessa dalla Suprema Corte, il Movimento 5 Stelle si è affrettato a chiedere l'allontanamento di Berlusconi da Palazzo Madama e il Pd, cioè l'alleato del centrodestra nella maggioranza di governo, per bocca del suo segretario ha dichiarato che la sentenza va rispettata, eseguita e applicata: una fucilata alle spalle.  Che succederà dunque nelle prossime settimane? Il centrodestra assisterà senza fiatare all'arresto del proprio leader, il quale se non richiederà l'affidamento ai servizi sociali probabilmente verrà rinchiuso in un appartamento di Milano (non ad Arcore, perché la villa è fuori dalla giurisdizione della Procura del capoluogo lombardo) e dovrà chiedere il permesso per ricevere qualcuno?  Tutti zitti, rispettosi davanti a una sentenza che considerano politica e a un governo che doveva essere di pacificazione, ma finisce con le manette ai polsi del leader del primo partito italiano? Difficile che ciò accada. Ieri i vertici del Pdl si sono riuniti a Palazzo Grazioli per decidere come reagire. Dimettersi  in blocco dal governo o bloccare i lavori parlamentari? Al di là delle velleità di qualche esponente del centrodestra, in realtà le ipotesi in campo restano quelle che abbiamo delineato nelle ultime settimane: le elezioni o la grazia. Nel primo caso il Cavaliere sarebbe incandidabile (per effetto della legge Monti) e agli arresti, ma paradossalmente sarebbe forte dell'ingiustizia  subìta e, mettendo in lista la figlia Marina, avrebbe la possibilità di spuntarla. Nel secondo, Berlusconi dovrebbe fidarsi di Napolitano, accettare di star buono e di non dare fuoco alle polveri e aspettare il provvedimento di clemenza che il capo dello Stato ha ventilato.  Entrambe le soluzioni ovviamente presentano controindicazioni. Nella prima il centrodestra si troverebbe a dover battere non Bersani o Epifani ma Renzi e non è detto che ciò gli riesca. Nella seconda il Cavaliere dovrebbe acconsentire a farsi da parte, ritirandosi in cambio della grazia, misura che gli eviterebbe di scontare la condanna di ieri ma non quelle future, come ad esempio  i sette anni che incombono per il caso Ruby. Insomma, la strada è stretta e il percorso accidentato, ma se dovessimo scommettere saremmo pronti a puntare sul fatto che la sentenza di ieri, pur avendo chiuso la carriera parlamentare di Berlusconi, non abbia spento la sua leadership.  È vero, l'uomo è stanco e provato, ha 78 anni e potrebbe anche decidere di gettare la spugna limitando i danni, ma fossimo nei suoi nemici non lo daremmo per vinto come invece ha fatto ieri Beppe Grillo. Anche se messo fuori gioco bruscamente dai giudici, il Cavaliere potrebbe tornare. O lui o qualcuno a nome suo.  E a nome degli italiani che non sono di sinistra. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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