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Le balle kazake di Alma e mezzo Pd

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La donna e i suoi legali hanno volutamente nascosto la loro identità alla polizia per coprire il "dissidente" Ablyazov, condannato in Inghilterra a 22 mesi di carcere. Pure per questo gli attacchi dei dem ad Alfano sono strumentali

Giulio Bucchi
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Ora è tutto più chiaro. Ci sono voluti un bel po' di giorni e molte polemiche, gli echi delle quali nonostante il voto di fiducia al governo e al ministro dell'Interno non si sono ancora spenti, ma piano piano i tasselli del cosiddetto caso Shalabayeva vanno a posto. Uno dei pezzi del mosaico lo ha collocato ieri La Stampa di Torino, consentendo finalmente di capire perché la donna, prima di essere espulsa, non abbia detto di essere la moglie di Mukhtar Ablyazov, cioè di un cittadino kazako che in Gran Bretagna aveva ottenuto asilo politico. Come mai ha taciuto, ci siamo chiesti per giorni: sarebbe bastato far presente la condizione del coniuge per ottenere tutela e poter rimanere in Italia? Perché sono stati zitti i suoi legali, i quali fin dal 29 maggio avrebbero potuto richiedere l'asilo politico, ma invece non hanno fiatato né quel giorno né quello successivo e neppure il 31 di fronte al giudice, quando stava per essere convalidato il provvedimento di allontanamento della signora e di sua figlia? «Ci fosse stato uno di quegli avvocati che per pochi soldi si prendono cura degli immigrati appena giunti in Italia sui barconi, per prima cosa avrebbe compilato il modulo per ottenere asilo, consegnandolo direttamente al Centro di identificazione ed espulsione, e Alma Shalabayeva insieme con la sua bambina sarebbero ancora qui», dice un inquirente. Mancata conoscenza della normativa italiana da parte della moglie dell'esule? Poca esperienza da parte di uno dei più noti studi legali di Roma delle procedure per ottenere l'asilo? Niente di tutto questo. Lei e i suoi avvocati sapevano perfettamente che cosa avrebbero dovuto fare  per bloccare l'espulsione e cioè dichiarare le vere condizioni di perseguitato politico di Mukhtar Ablyazov e della sua famiglia, ma non lo hanno fatto per una ragione ben precisa. La donna nasconde la sua identità e quella della figlia, finge che la sorella sia la domestica e il cognato un custode della villa in cui si nasconde, perché vuole coprire il marito, il quale se si scoprisse che fino a pochi giorni fa era anch'esso nella residenza di Casal Palocco perderebbe lo status di rifugiato politico e dunque ogni protezione dai mandati di cattura che lo inseguono. Secondo quanto ha ricostruito La Stampa, l'ex banchiere ha sì ricevuto asilo in Gran Bretagna, ma a patto di non lasciare il Regno Unito. Il dissidente kazako è tutelato dagli inglesi, ma solo se rimane nei confini inglesi: all'estero non gode di alcuno schermo. Ma da qualche mese Mukhtar Ablyazov non può più restare in Inghilterra, perché l'Alta corte lo ha condannato per aver nascosto ai giudici il patrimonio accumulato, celandolo dietro a prestanome. Dunque, per non finire in carcere ed essere costretto a scontare 22 mesi, il finanziere riciclatosi come esule scappa. Prima che Scotland Yard gli notifichi il mandato di cattura Ablyazov taglia la corda, diventa uccel di bosco. E dove va? In Italia, ovvio, con la sua famiglia, ma senza chiedere asilo politico, perché altrimenti in seguito all'ordine di carcerazione inglese non solo non lo otterrebbe, ma perderebbe anche quello inglese.  Risultato: l'ex banchiere che teme per la sua vita si nasconde in una villa tutta di vetri a Casal Palocco, sperando di passare inosservato. Quando poi gli spioni di Nazarbaev gli stanno alle calcagna,  Ablyazov riscappa e lascia la moglie sola nella casa alla periferia di Roma. E qui la trovano i poliziotti che fanno irruzione la notte tra il 28 e il 29 maggio e ai quali, per proteggere il marito, la donna fornisce passaporto e generalità false, sperando che nessuno la ricolleghi al fuggiasco. Ecco perché non dice chi è e non mostra il permesso di soggiorno lettone che le avrebbe evitato l'espulsione consentendole di rimanere da noi,  come è successo con il cognato. Ecco perché non chiede asilo politico, richiesta che avrebbe da sola bloccato l'allontanamento. Alma Shalabayeva si sacrifica per il marito. Scrive La Stampa: «Non potendo rivelare chi è il marito, la signora non può nemmeno esternare i reali pericoli a cui va incontro se la mandassero in Kazakistan. Sceglie il silenzio, insomma. E si immola».  In pratica si rovina con le sue mani.  Forse si potrà convenire che l'inefficienza e anche l'arrendevolezza della polizia italiana all'invadenza dei kazaki hanno contribuito al pasticcio, ma purtroppo è la stessa Shalabayeva a fornire gli elementi per rendere possibile la restituzione sua e di sua figlia agli emissari di Nazarbaev. È lei che si condanna da sola. Tutto il resto sono polemiche strumentali che mirano a regolare conti politici interni nel Pd.  Non certo a tutelare una bambina di sei anni. di Maurizio Belpietro twitter @BelpietroTweet

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